Pereto - Rocca di Botte

venerdì 8 marzo 2013

IV Domenica di Quaresima

Domenica 10 Marzo 2013: IV Domenica di Quaresima


Nella prima lettura il prima è costituito dalla schiavitù in Egitto, segnato dall’umiliazione, dalla sofferenza, dalla mancanza di libertà. A queste ha fatto seguito il duro cammino di purificazione nel deserto, che ha preparato i cuori a un popolo nuovo.
Ad Israele, che porta il fardello di questo passato, Dio dice: “Oggi ho allontanato da voi l’infamia d’Egitto”. Si tratta di una denotazione temporale puntuale, è l’adempimento di una promessa.
L’esperienza dell’inizio di una vita nuova è accompagnata dalla celebrazione della Pasqua, per la prima volta in condizione di uomini liberi. La novità viene celebrata con un rito, alla presenza del Signore.
Il dopo di Israele, la nuova condizione di libertà, inizia il giorno dopo: “Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della regione”.



Lo stesso dinamismo compare nella seconda lettura.
San Paolo esclama: “Le cose vecchie sono passate!”. È come se dicesse: “Il prima è passato!”. Non esiste più, non dobbiamo più guardare ad esso. Paolo può esclamare ciò proprio perché, personalmente, ha fatto questa esperienza: da persecutore della Chiesa è stato perdonato e rigenerato a vita nuova.
L’oggi è segnato da un invito ad accogliere gratuitamente l’amore di Dio. Come il Padre è libero nel donare, il Figlio è libero nell’accogliere, lo Spirito è libero nella comunione, così i cristiani devono essere liberi nell’accettare la novità di Dio: “Lasciatevi riconciliare con Dio!”.
In queste parole, che riguardano l’oggi del cristiano, c’è quasi una passività.
Cosa devo fare?
Devi lasciarti amare. Devi permettere a Dio che ti riconcili con Lui.
Il dopo, il futuro di cui parla la seconda lettura è l’invio nel mondo di ambasciatori di vita nuova, persone che parlano “come se Dio stesso parlasse per mezzo di noi”, invitando i popoli ad accogliere l’amore rigenerante di Dio.




Al centro della liturgia è posto oggi quel capolavoro del Vangelo di Luca che è la parabola del figlio prodigo o, meglio del padre prodigo d'amore, stupenda rappresentazione dell'itinerario di un'esistenza prima bruciata nel peccato poi ricostruita nella conversione e infine approdata alla pace e alla gioia.

La parabola nel suo centro tematico non è la storia di una crisi ma la storia di un “ritorno”, cioè la soluzione di un dramma interiore. Il noto verbo biblico della conversione – l'ebraico shùb, <<ritornare>> , che nei vangeli diventa il greco metanoein, <<cambiare mentalità>> - indica appunto un'inversione di rotta che fa il pastore beduino che nel deserto s'accorge di battere un pista che porta lontano dall'acqua, dall'oasi. O come la nave che segue una rotta fuori della mappa che la guida.

Appena si profila all'orizzonte la figura del figlio, il padre gli corre incontro per abbracciarlo. Come dicono le sue prime parole al figlio, è una morte che si trasforma in vita, è uno smarrimento che diventa ritrovamento gioioso. Nella fatica che ogni conversione c'è, quindi, la certezza di non essere mai soli, di non correre il rischio di trovare alla fine una porta sbarrata o un padre che è solo giudice implacabile e senza misericordia. Anzi, quel padre, come ha detto Gesù in un altra parabola, è pronto a mettersi a servizio del figlio facendolo sedere a mensa (Lc 12,37).

giungiamo così, all'ultimo quadro della narrazione, al cui centro appara la figura del fratello maggiore, tipica rappresentazione del benpensante che, soddisfatto della sua conclamata onestà, diventa un freddo ed impietoso giudice del fratello. 

Riflessioni tratte dal libro "SECONDO LE SCRITTURE" diGianfranco Ravasi - Piemme

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