Pereto - Rocca di Botte

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lunedì 3 novembre 2014

ANGELUS 2 Novembre - Commemorazione di Tutti i Defunti

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Ieri abbiamo celebrato la Solennità di tutti i Santi, e oggi la liturgia ci invita a commemorare i fedeli defunti. Queste due ricorrenze sono intimamente legate fra di loro, così come la gioia e le lacrime trovano in Gesù Cristo una sintesi che è fondamento della nostra fede e della nostra speranza. Da una parte, infatti, la Chiesa, pellegrina nella storia, si rallegra per l’intercessione dei Santi e dei Beati che la sostengono nella missione di annunciare il Vangelo; dall’altra, essa, come Gesù, condivide il pianto di chi soffre il distacco dalle persone care, e come Lui e grazie a Lui fa risuonare il ringraziamento al Padre che ci ha liberato dal dominio del peccato e della morte.
Tra ieri e oggi tanti fanno una visita al cimitero, che, come dice questa stessa parola, è il “luogo del riposo”, in attesa del risveglio finale. È bello pensare che sarà Gesù stesso a risvegliarci. Gesù stesso ha rivelato che la morte del corpo è come un sonno dal quale Lui ci risveglia. Con questa fede sostiamo – anche spiritualmente – presso le tombe dei nostri cari, di quanti ci hanno voluto bene e ci hanno fatto del bene. Ma oggi siamo chiamati a ricordare tutti, anche quelli che nessuno ricorda. Ricordiamo le vittime delle guerre e delle violenze; tanti “piccoli” del mondo schiacciati dalla fame e della miseria; ricordiamo gli anonimi che riposano nell’ossario comune. Ricordiamo i fratelli e le sorelle uccisi perché cristiani; e quanti hanno sacrificato la vita per servire gli altri. Affidiamo al Signore specialmente quanti ci hanno lasciato nel corso di quest’ultimo anno.
La tradizione della Chiesa ha sempre esortato a pregare per i defunti, in particolare offrendo per essi la Celebrazione eucaristica: essa è il miglior aiuto spirituale che noi possiamo dare alle loro anime, particolarmente a quelle più abbandonate. Il fondamento della preghiera di suffragio si trova nella comunione del Corpo Mistico. Come ribadisce il Concilio Vaticano II, «la Chiesa pellegrinante sulla terra, ben consapevole di questa comunione di tutto il Corpo Mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti» (Lumen gentium, 50).
Il ricordo dei defunti, la cura dei sepolcri e i suffragi sono testimonianza di fiduciosa speranza, radicata nella certezza che la morte non è l’ultima parola sulla sorte umana, poiché l’uomo è destinato ad una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio. A Dio rivolgiamo questa preghiera: «Dio di infinita misericordia, affidiamo alla tua immensa bontà quanti hanno lasciato questo mondo per l’eternità, dove tu attendi l'intera umanità, redenta dal sangue prezioso di Cristo, tuo Figlio, morto in riscatto per i nostri peccati. Non guardare, Signore, alle tante povertà, miserie e debolezze umane, quando ci presenteremo davanti al tuo tribunale, per essere giudicati per la felicità o la condanna. Volgi su di noi il tuo sguardo pietoso, che nasce dalla tenerezza del tuo cuore, e aiutaci a camminare sulla strada di una completa purificazione. Nessuno dei tuoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell’inferno, dove non ci può essere più pentimento. Ti affidiamo Signore le anime dei nostri cari, delle persone che sono morte senza il conforto sacramentale, o non hanno avuto modo di pentirsi nemmeno al temine della loro vita. Nessun abbia da temere di incontrare Te, dopo il pellegrinaggio terreno, nella speranza di essere accolto nelle braccia della tua infinita misericordia. Sorella morte corporale ci trovi vigilanti nella preghiera e carichi di ogni bene fatto nel corso della nostra breve o lunga esistenza. Signore, niente ci allontani da Te su questa terra, ma tutto e tutti ci sostengano nell'ardente desiderio di riposare serenamente ed eternamente in Te. Amen» (P. Antonio Rungi, passionista, Preghiera dei defunti).
Con questa fede nel destino supremo dell’uomo, ci rivolgiamo ora alla Madonna, che ha patito sotto la Croce il dramma della morte di Cristo ed ha partecipato poi alla gioia della sua risurrezione. Ci aiuti Lei, Porta del cielo, a comprendere sempre più il valore della preghiera di suffragio per i defunti. Loro ci sono vicini! Ci sostenga nel quotidiano pellegrinaggio sulla terra e ci aiuti a non perdere mai di vista la meta ultima della vita che è il Paradiso. E noi con questa speranza che non delude mai, andiamo avanti!

http://w2.vatican.va/content/vatican/it.html

domenica 2 novembre 2014

ANGELUS 1 Novembre - Solennità di Tutti i Santi

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
I primi due giorni del mese di Novembre costituiscono per tutti noi un momento intenso di fede, di preghiera e di riflessione sulle “cose ultime” della vita. Celebrando, infatti, tutti i Santi e commemorando tutti i fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra vive ed esprime nella Liturgia il vincolo spirituale che la unisce alla Chiesa del cielo. Oggi diamo lode a Dio per la schiera innumerevole dei santi e delle sante di tutti i tempi: uomini e donne comuni, semplici, a volte “ultimi” per il mondo, ma “primi” per Dio. Al tempo stesso già ricordiamo i nostri cari defunti visitando i cimiteri: è motivo di grande consolazione pensare che essi sono in compagnia della Vergine Maria, degli apostoli, dei martiri e di tutti i santi e le sante del Paradiso!
La solennità odierna ci aiuta così a considerare una verità fondamentale della fede cristiana, che noi professiamo nel “Credo”: lacomunione dei santi. Che cosa significa questo: la comunione dei santi? È la comunione che nasce dalla fede e unisce tutti coloro che appartengono a Cristo in forza del Battesimo. Si tratta di una unione spirituale - tutti siamo uniti! - che non viene spezzata dalla morte, ma prosegue nell’altra vita. In effetti sussiste un legame indistruttibile tra noi viventi in questo mondo e quanti hanno varcato la soglia della morte. Noi quaggiù sulla terra, insieme a coloro che sono entrati nell’eternità, formiamo una sola e grande famiglia. Si mantiene questa familiarità.
Questa meravigliosa comunione, questa meravigliosa unione comune tra terra e cielo si attua nel modo più alto ed intenso nella Liturgia, e soprattutto nella celebrazione dell’Eucaristia, che esprime e realizza la più profonda unione tra i membri della Chiesa. Nell’Eucaristia, infatti, noi incontriamo Gesù vivo e la sua forza, e attraverso di Lui entriamo in comunione con i nostri fratelli nella fede: quelli che vivono con noi qui in terra e quelli che ci hanno preceduto nell’altra vita, la vita senza fine. Questa realtà ci colma di gioia: è bello avere tanti fratelli nella fede che camminano al nostro fianco, ci sostengono con il loro aiuto e insieme a noi percorrono la stessa strada verso il cielo. Ed è consolante sapere che ci sono altri fratelli che hanno già raggiunto il cielo, ci attendono e pregano per noi, affinché insieme possiamo contemplare in eterno il volto glorioso e misericordioso del Padre.
Nella grande assemblea dei Santi, Dio ha voluto riservare il primo posto alla Madre di Gesù. Maria è al centro della comunione dei santi, quale singolare custode del vincolo della Chiesa universale con Cristo, del vincolo della famiglia. Lei è la Madre, Lei è la Madre nostra, nostra Madre. Per chi vuole seguire Gesù sulla via del Vangelo, lei è la guida sicura, perché è la prima discepola. Lei è la Madre premurosa ed attenta, a cui confidare ogni desiderio e difficoltà.
Preghiamo insieme la Regina di tutti i Santi, perché ci aiuti a rispondere con generosità e fedeltà a Dio, che ci chiama ad essere santi come Egli è Santo (cfr Lv 19,2; Mt 5,48).


http://w2.vatican.va/content/vatican/it.html

1 Novembre - OGNISSANTI

Il giorno di tutti i Santi, noto anche come Ognissanti, è una festa cristiana che celebra insieme la gloria e l'onore di tutti iSanti (siano o non siano stati canonizzati).
La solennità del calendario liturgico romano (in latinoSollemnitas Omnium Sanctorum) cade il 1º novembre (seguita il 2 novembre dalla Commemorazione dei Defunti), ed è una festa di precetto, che prevedeva anche una vigilia e un'ottava nelcalendario anteriore alla riforma liturgica voluta dal concilio ecumenico Vaticano II.


Le commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad esser celebrate nel IV secolo. Le prime tracce di una celebrazione generale sono attestate ad Antiochia, e fanno riferimento alla Domenica successiva alla Pentecoste. Questa usanza viene citata anche nella settantaquattresima omelia di Giovanni Crisostomo (407) ed è preservata fino ad oggi dalle chiese orientali. Anche Efrem Siro (373) parla di tale festa, e la colloca il 13 maggio
La ricorrenza della chiesa occidentale potrebbe derivare dalla festa romana della dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres, ovvero l'anniversario della trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata alla Vergine e a tutti i martiri, avvenuta il 13 maggio del 609 o 610 da parte di papa Bonifacio IV;[2][3] la data del 13 maggio coincide con quella citata da Efrem Siro.
In seguito Papa Gregorio III (731-741) scelse il 1º novembre come data dell'anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie "dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo". Arrivati ai tempi di Carlo Magno, la festività di Ognissanti era diffusamente celebrata in novembre.
Il 1º novembre venne decretato festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell'835. Il decreto fu emesso "su richiesta di papa Gregorio IV e con il consenso di tutti i vescovi". La festa si dotò di ottava solenne ancora presente nel rito straordinario della Chiesa durante il pontificato di Papa Sisto IV della Rovere, quando, bandendo la crociata per la liberazione di Otranto nel settembre 1480, il pontefice implorò la benedizione dell'Altissimo sulle schiere cristiane.
L'antropologo James Frazer, osservando che, prima di diventare festa di precetto, Ognissanti veniva già festeggiato in Inghilterra (paese un tempo abitato dai celti) il 1º novembre, ipotizzò che tale data fosse stata scelta dalla Chiesa per creare una continuità cristiana con Samhain, l'antica festa celtica del nuovo anno (secondo le teorie dello storico Rhŷs), a seguito di richieste in tal senso provenienti dal mondo monastico irlandese. Questo studioso, insieme con altri, sostenne che, secondo le credenze celtiche, durante la festa del Samhain i morti avrebbero potuto ritornare nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita, e che quel giorno celebrazioni gioiose venissero tenute in loro onore. Da questo punto di vista le antiche tribù celtiche erano un tutt'uno col loro passato ed il loro futuro. Questo aspetto della festa non sarebbe mai stato eliminato pienamente, nemmeno con l'avvento del Cristianesimo che infatti il 2 novembre celebra i defunti.
Lo storico inglese Ronald Hutton ha messo in discussione queste tesi, osservando come Ognissanti venisse celebrato da vari secoli (prima di essere festa di precetto), in date discordanti nei vari paesi: per la chiesa di Roma era il 13 maggio, in Irlanda (paese di cultura celtica) era il 20 aprile, mentre il 1º novembre era una data diffusa in Inghilterra e Germania (paesi di cultura germanica). Inoltre, sempre secondo Hutton, non ci sarebbero prove che Samhain avesse a che fare coi morti, e la Commemorazione dei defuntiiniziò a essere celebrata solo in seguito, nel 998.

https://it.wikipedia.org/

mercoledì 14 maggio 2014

Siete tutti invitati!!!!
Vi aspettiamo per vivere insieme una serata di musica e testimonianze attorno al fuoco e un pezzo di pizza!!!!
 
 
 
 

mercoledì 16 aprile 2014

Triduo Pasquale

Triduo Pasquale

Il centro del Mistero di Cristo e della Chiesa. Il Centro dell'Anno liturgico.

Presentazione

Ci avviciniamo al centro del Mistero, al Mistero della nostra salvezza. Vorremmo presentare alcune considerazioni che, forse ci aiuteranno a viverlo in modo più profondo, a chiarire ed approfondire alcuni aspetti teologici e rituali che celebriamo in questi giorni della Passione, della Morte/Sepoltura e della Gloriosa Risurrezione del Signore. 

Siamo figli della nostra epoca che spesso, invece di cercare le spiegazioni alle nostre domande spirituali nelle fonti antiche, nella chiesa antica, ci basiamo piuttosto su una certa religiosità, che qualche volta ha poco a che fare con lo spirito liturgico e tanto meno con la sana tradizione della Chiesa. Ecco che motivati da queste riflessioni abbiamo voluto ripresentare l’argomento del Triduo Sacro per capirne meglio la portata. 

Queste note non vogliono essere un lavoro scientifico, ma piuttosto una riflessione trasversale sul Mistero della nostra salvezza, racchiuso nelle celebrazioni, che la tradizione della Chiesa gelosamente ha conservato per venti secoli. 

Partiremo dal Giovedì santo per arrivare alla Veglia della Notte santa, anche se forse sarebbe più logico, dal punto di vista dello sviluppo storico, iniziare da questa celebrazione. Essa è infatti il centro al quale ruota non solo il Triduo della Pasqua ma tutto l’Anno liturgico.

Giovedì santo

Il giorno del Giovedì è uno dei giorni più difficili da diversi punti di vista. Nella storia non è mai appartenuto al Triduo. Nell’ultima riforma del Vaticano II è però entrato a farne parte, o meglio a esserne un’introduzione. Infatti il giovedì appartiene a due tempi liturgici. Innanzitutto è l’ultimo giorno della Quaresima, con esso finisce anche il digiuno quaresimale. Con esso però, o meglio con la Messa In Coena Domini, inizia anche il Triduo pasquale dei tre giorni «Passionis et Resurrectionis Domini», che si conclude con i secondi vespri della Domenica di Pasqua. Abbiamo dunque un triduo, con quattro momenti diversi, che nei libri liturgici non è molto esplicito. 

Un altro problema è legato alla Messa crismale abitualmente celebrata giovedì mattina. La celebrazione, anche se non appartiene al Triduo stesso è importante in quanto serve a consacrare gli oli necessari per il Sacramento dell’Iniziazione cristiana e dell’unzione degli infermi nella Veglia di Pasqua. 

Dalla storia abbiamo dedotto che questa celebrazione non è legata in modo fisso a quel giorno. Essa è segnata solo come l’ultima messa di Quaresima prima della celebrazione della Veglia. Infatti sia venerdì che sabato sono giorni aliturgici cioè senza la celebrazione di Eucaristia. Questa prassi viene ancora gelosamente custodita dalle diverse Chiese. Qui menzioniamo anche il digiuno intrapasquale di questi due giorni che non è più penitenziale, ma viene legato all’attesa della risurrezione o attesa escatologica di Cristo nella seconda venuta. I Padri hanno sottolineato anche un altro aspetto, quello cioè del vangelo: “Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno” (Mt 9,14-15). Dunque, mentre il Maestro non c’è più i discepoli digiunano fino alla festa di Pasqua. 

La Tradizione Romana fino al VII sec. conosce solo la celebrazione della riconciliazione dei penitenti. Non si trova nessun accenno alla celebrazione della Coena Domini in quanto solo nella Notte Santa si celebrerà, come suo culmine, la liturgia eucaristica, l’Eucaristia di Pasqua, di Cristo Risorto. Nelle altre Chiese abbiamo alcuni accenni di due messe (ad es. in Agostino). Un certo sviluppo avviene a partire dal VII sec. quando si celebreranno tre messe: la prima della riconciliazione dei penitenti, la seconda con la consacrazione degli oli, verso mezzogiorno, e la terza la sera. È interessante notare che sia la seconda che la terza Messa non avevano la Liturgia della parola, ma iniziavano con l’offerta. Il giovedì però abbiamo altri due riti che pian piano verranno sempre più considerati. Il primo è la lavanda dei piedi, il secondo, invece, la deposizione e l’adorazione eucaristica. 

Il primo proviene dalla Chiesa di Gerusalemme. Le prime testimonianze si hanno fin dal V sec. Inizialmente esprimeva il mandatum di Cristo: «affinché come ho fatto io, facciate anche voi.» (Gv 13,15) – non umiliazione dunque, ma prevalentemente l’amore e il servizio. Il gesto è molto accentuato nella tradizione monastica in riferimento all’accoglienza degli ospiti. Nella liturgia invece entra verso il VII sec. Il concilio di Toledo del 694 lo considera come semi-liturgico. Più tardi assume un significato diverso, quello cioè di umiliazione di Cristo. Ambrogio invece lo collega con il battesimo come gesto di purificazione del cristiano. Qualche studioso però, avanza l’ipostesi, che, specie nella tradizione giovannea, come sia gesto del battesimo stesso; ipotesi oggi poco sostenibile. Nella liturgia romana si presenta con l’arrivo del Pontificale Romano – Germanico, ma non inserito nella messa bensì nei vespri. 

Il secondo, e cioè la deposizione del Santissimo e l’adorazione è assai antico. Ne troviamo menzione ad es. nel Ordo Romanus Primus. Le specie consacrate rimanenti venivano conservate, dopo la celebrazione, in un cofanetto apposito nella sacrestia, ma senza particolari segni di onore. Il giorno della successiva celebrazione, venivano riportate al pontefice nel presbiterio. Ivi, dopo esser state da lui adorate per qualche momento, venivano usate per la comunione nella celebrazione stessa. L’adorazione eucaristica inizia verso XIII sec. quando Urbano IV estende a tutta la Chiesa la festa del Corpus Domini. Il tabernacolo provvisorio del Giovedì santo diventa allora un punto focale della devozione eucaristica. In questo contesto, con l’aggiunta di segni di tristezza ed emotività, il tabernacolo diventa il sepolcro, anche se non si è celebrata ancora la morte di Gesù. Sicuramente su ciò ha influito la perdita del tema della doppia traditio, cioè quella di Cristo nel sacramento, che si consegna alla Chiesa, e quella di Giuda che consegna Cristo alla morte. In questo senso forse sarebbe più facile vedere il collegamento con il mistero della Pasqua. Staccandolo dalla tradizione si rischia un eccessivo accento dell’adorazione, che falsa la celebrazione. 

I riti odierni del giovedì santo sono stati rivisti sia dalla prima riforma del 1955 che da quella del Vaticano II. La Chiesa vuole che la messa In coena domini sia concelebrata e con più solennità. I temi da richiamare all’attenzione dei fedeli sono: l’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, e il comandamento dell’amore fraterno. La colletta è stata sostituita. Quella precedente che parlava della traditio è cambiata con una di nuova composizione: Sacratissimam, Deus, frequentantibus Caenam…, che esprime meglio il senso della celebrazione. In questo senso sono state anche cambiate le letture. La 1Cor 11, 20-32 fu cambiata con un brano dell’Esodo (12,1-8.11-14) che contiene le prescrizioni per la pasqua ebraica. Segue il Salmo con il responsorio: “Che cosa renderò al Signore… alzerò il calice della salvezza”. Esso introduce la seconda lettura dalla 1Cor 11,23-26. La pericope del vangelo, invece, non è stata cambiata. Dopo l’omelia, pro opportunitate si procede alla lavanda dei piedi, che in confronto con l’Ordo precedente è stata semplificata. L’orazione sulle offerte è stata sostituita, come anche il prefazio: quello della Croce con uno nuovo dell’Eucaristia. Si conserva il canto Ubi caritas et amor, oggi proposto per la processione delle offerte. Così anche il canone con le parti proprie. Non si parla più dei salmi durante la comunione, che dovevano soddisfare l’obbligo del vespro. Esso semplicemente non si dice più. Dopo la celebrazione, il Santissimo sacramento viene portato processionalmente al tabernacolo provvisorio, dove si potrà svolgere un’adorazione protratta, ma le rubriche suggeriscono che questa sia fatta senza particolari solennità. Dopo la celebrazione si compie la spogliazione dell’altare. Non è più un rito particolare , ma tutto si svolge con semplicità.

Venerdì santo

L’odierna celebrazione del Venerdì ha i suoi albori probabilmente nella celebrazione della Chiesa di Gerusalemme, che era solita rievocare, con particolari riti, la passione di Cristo e ciò nei luoghi dove essa era realmente avvenuta. Le testimonianze di Egeria, probabilmente hanno influito sulla formazione di questa liturgia nelle Chiese di Roma. Dall’antichità questo giorno è stato aliturgico, cioè privo della celebrazione eucaristica. Il nucleo della celebrazione, come apprendiamo dall’Apologia di Giustino, è la celebrazione della Parola di Dio e, in modo particolare, la Passione secondo Giovanni. Gli Ordines ci offrono uno schema ben preciso: la prostrazione del vescovo con la preghiera silenziosa, una prima lettura seguita dal Tratto, e una seconda lettura, cui seguiva il canto della Passione. Concludevano la celebrazione le Orazioni solenni, che ri-elaborate, sono presenti nella nostra celebrazione. Esistevano anche altri schemi come quello, oggi adottato dal Messale: dopo la prostrazione viene proclamata la colletta che dà inizio alla Liturgia della Parola. Questa prosegue con le letture e la proclamazione della Passione secondo Giovanni, e concludersi con le solenni orazioni della Preghiera universale. 

Come abbiamo detto, la celebrazione romana ha subito l’influsso delle tradizioni orientali. Nel VIII-IX sec. i vescovi di Roma provenivano da quella tradizione. Portano con loro l’Adorazione della croce. Nell’Urbe si conservava un frammento del legno della Croce. Esso veniva portato in processione dalla basilica di Santa Croce al Laterano. La processione veniva guidata dal papa che, scalzo, a mo’ di vescovi orientali, portava il turibolo (uso sconosciuto nella tradizione romana) davanti alla reliquia della Santa Croce. Tutto probabilmente si svolgeva in silenzio, in quanto solo nel tardo VIII sec. abbiamo testimonianze del canto delle antifone: Ecce lignum crucis… o Crucem tuam adoramus… di origine bizantina, che accompagnavano l’adorazione della croce. Nel XII sec. entra nella liturgia romana, specie sotto l’influsso delle liturgie franco-germaniche, un altro fattore: la drammatizzazione. Abbiamo molti gesti come ad esempio la velazione – svelazione della croce fin ora sconosciuta, le processioni con le statue, con la figura di Cristo morto, ma anche la stessa celebrazione diventa molto più complessa. Un ruolo che agevola questa pietà popolare è l’incomprensione della liturgia da parte dei fedeli. 

Si è parlato già del carattere particolare del digiuno di questi giorni. In questo senso entra anche il digiuno eucaristico. “Il Signore è assente dal mondo, allora i discepoli digiunano”. C’è anche però un altro fattore. L’unico mistero di questi tre giorni culmina nella celebrazione della Veglia Pasquale, e in particolare nell’Eucaristia. “Bramiamo, dunque, il pane celeste della Risurrezione di Cristo”. Comunque per ciò che riguarda la comunione nell’arco dei secoli, gli usi sono stati diversi. Inizialmente come ci testimonia Ordo XXIII nella celebrazione del papa non ci si comunicava. “Chi vuole comunicarsi vada nelle altre chiese consumando da ciò che è stato conservato dalla celebrazione del giovedì”. Dal XIII secolo, però si comunica solo il pontefice. Il popolo, fino alla riforma del Vaticano II non poteva ricevere il pane eucaristico. 

Oggi la celebrazione del Venerdì non è stata molto cambiata nella struttura celebrativa. E’ stata introdotta la comunione dei fedeli, restituita dalla riforma del 1955, anche se forse sarebbe stato meglio rimanere nella prassi antica, rappresentata tra l’altro dalle tradizioni orientali o anche da quella ambrosiana. La celebrazione si svolge nel primo pomeriggio. Il sacerdote indossa le vesti rosse, simboleggianti la regalità di Cristo, e ciò dall’inizio della celebrazione. L’ingresso del celebrante, fatto senza nessun canto, prosegue con la prostrazione e la preghiera silenziosa. Successivamente, dall’ambone, viene proclamata una delle collette a scelta, di nuova composizione. Segue la liturgia della Parola. Le letture sono state cambiate, e con ciò è cambiata anche la visione teologica. La prima lettura dal profeta Osea viene sostituita da quella del Servo sofferente di Isaia. Anche la seconda, al posto della lettura dall’Esodo, oggi viene proclamata la lettera agli Ebrei, che vuole significare il sacrificio di Cristo. Il vangelo, per l’antica tradizione, è sempre quello di Giovanni. Si può fare una piccola omelia seguita dalle solenni orazioni che, alcune riviste, e altre cambiate, esprimono meglio la mentalità del nostro tempo. 

La seconda parte della celebrazione, l’adorazione della Croce, è stata semplificata. Il messale presenta due forme del rito. Per la comunione è stato abolito il Confiteor e l’assoluzione. Viene riportato sull’altare il Santissimo, senza solennità. Durante la comunione si può cantare un canto adatto, ma non più precisato. Alla fine, dalle tre orazioni è stata conservata una sola: Omnipotens sempiterne Deus… cui segue la preghiera super populum. L’assemblea si scioglie in silenzio. 

Riassumendo possiamo dire che questa celebrazione generalmente è un buon progetto celebrativo della Passione del Signore: La Liturgia della Parola proclama la passione. Le Invocazioni pregano la passione. La Venerazione della Croce adora la passione, e la Comunione ci fa comunicare con la passione. E’ stato un po’ criticato per motivo della comunione reintrodotta da Pio XII. Ci sono infatti molteplici modi della presenza di Cristo, e la comunione della Veglia è il culmine, cui tutto il cammino quaresimale conduce.

Sabato santo.

Sabato santo è il giorno del grande silenzio – perché – come dice un’antica omelia, “il Re dorme. La terra tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormono”. Le Chiese orientali celebrano la discesa di Cristo agli inferi. Egli, che rompe le porte dell’inferno, redime e libera i santi, che aspettavano da secoli la sua risurrezione. La chiesa romana, oltre all’Ufficio del mattino e della sera, non ha però mai istituito alcuna celebrazione del Cristo nel sepolcro. E’ la celebrazione silenziosa del tempo sospeso, del riposo, ma non del nulla-fare. Sabato mattina venivano convocati i catecumeni per la pubblica professione di fede. Questo giorno era segnato da un severo digiuno fino alla celebrazione della Veglia. 

Purtroppo, per causa della sempre più anticipata celebrazione della Veglia, fino al punto di celebrarla al mattino, si è perso il senso primitivo di questo giorno. Grazie alla riforma liturgica che riporta la Vigilia di pasqua alla sera, viene restituito al sabato santo il significato originario.

Vorrei menzionare qui l’uso in alcune chiese in modo particolare dell’Est europeo, di benedire i cibi per il primo pasto della domenica, proveniente forse dalle usanze franco-germaniche dell’VIII sec. Ancora oggi è molto sentito e partecipato anche se, forse, l’uso sarebbe da rivedere per motivi pastorali.

Domenica di Risurrezione

Veglia della Notte santa – la Madre di tutte le veglie. Così S. Agostino definisce questa celebrazione. Essa si colloca al cuore dell’Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Ad essa si preparavano i nuovi cristiani, in essa speravano i peccatori, tutti potevano di nuovo attingere dalla mensa ai “cancelli celesti”. Essa rappresenta Totum pasquale sacramentum. Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo. 

Dalla comunità primitiva non abbiamo nessuna testimonianza della celebrazione della Pasqua in una domenica precisa. Infatti i cristiani celebravano la risurrezione del Signore ogni domenica, ogni settimana. Ben presto, però, si è iniziato a commemorare la resurrezione in un giorno particolare annuale. Già gli scritti del III sec. come ad es. Didascalia Apostolorum, ci danno la testimonianza di queste celebrazioni. Si insiste sul digiuno, di cui abbiamo già parlato, sul vegliare di tutta la notte nelle preghiere, nelle suppliche, con salmi e le letture fino alle tre della notte. 

La lettura della Parola è uno dei punti principali. Non è molto facile stabilire lo schema antico delle letture. Probabilmente le letture erano sei. Quasi sempre poi sono presenti la lettura dalla Genesi (creazione), il sacrificio di Abramo, il passaggio del Mar Rosso… 

La Veglia primitiva non ha accenni in proposito all’istituzione dell’Eucaristia. Nella tradizione romana però la lettura del passaggio del Mar Rosso viene interpretata in senso battesimale. Dunque nel VII sec. lo schema della celebrazione potrebbe essere questo: La lettura della Parola, La celebrazione del Battesimo, La celebrazione dell’Eucaristia. 

A questo, abbastanza presto, si aggiunge anche la Liturgia della Luce, che apre la celebrazione. Il rito probabilmente proviene dal “lucernario” di cui abbiamo diverse testimonianze. Già Egeria ci tramanda che a Gerusalemme nel IV sec. si accendevano la sera, con una certa ritualità, le candele. Probabilmente all’inizio, questo gesto era solo di tipo pratico, perché era buio. Anche il Gelasiano antico, che rappresenta la liturgia dei Titoli, ha l’Accensione della candela. Ciò non è però presente nelle celebrazioni papali, ma dal V-VI sec. diventa prassi per tutte le chiese, tranne quella del pontefice, che l’assume solo verso XI sec. Dal X sec. si aggiungono nel sud della Francia, i grani d’incenso che arrivano anche a Roma verso XI sec. 

Il canto che accompagna l’accensione della lampada è assai antico. Già Ippolito Romano ci presentava una preghiera di benedizione del cero durante la cena. Il canto del Exultet in diverse forme è testimoniato dal IV sec. 

Per ciò che riguarda il tempo della celebrazione abbiamo già fatto qualche accenno. Inizialmente e fino al V sec., era una celebrazione notturna che finiva all’alba. Ma dal VI sec. si sposta sempre più avanti. I motivi di questo cambiamento potrebbero essere i seguenti: i candidati al battesimo non sono più adulti ma bambini e non era facile farli vegliare di notte. Un altro motivo può essere quello del digiuno che poteva essere interrotto solo dopo la veglia. Nel IX sec. la celebrazione è già in crisi; si cerca allora di anticiparla, arrivando all’assurdo, con la disposizione del papa Pio V, che vietò la celebrazione della messa nel pomeriggio. Così tutta la celebrazione della veglia notturna finiva a mezzogiorno del sabato; ciò a scapito della molteplice simbologia di questa notte santa. Solo con la riforma del 1951, che anticipava quella vaticana, si ripristinava la celebrazione nelle ore notturne. 

Siccome tutti i riti finivano di sabato, la domenica rimaneva “vuota”. Anche Leone Magno ha ancora un sermone solo per la Veglia. Ma all’inizio del V sec. nasce un formulario anche per la messa della domenica di Pasqua. Il Gelasiano Antico ne è la testimonianza. 

Una piccola menzione deve esser fatta dei Vespri battesimali celebrati dal V sec. e descritti nell’Ordo XXVII dell’VIII sec. Scomparsi nel XIII sec. oggi suggeriti perché siano ripristinati. 

Oggi la celebrazione è stata ritoccata in diversi punti, ma soprattutto semplificata nei riti. Consta di quattro momenti fondamentali. 

1. La liturgia della luce 
2. La liturgia della Parola 
3. La liturgia battesimale 
4. La celebrazione eucaristica 

La liturgia della luce, essendo compiuta nelle ore notturne, ha ripristinato la sua simbologia. Il rito è stato semplificato con la possibilità di adattamenti ulteriori sia da parte del celebrante che dalle Conferenze Episcopali. Compiuta la benedizione del fuoco e del cero, l’assemblea fa rientro in chiesa con il triplice acclamazione del “Cristo – luce del mondo”. Degno di sottolineatura è il fatto della partecipazione dell’assemblea, sia nella risposta “Rendiamo grazie a Dio”, che nell’accensione delle loro candele; prima della riforma l’assemblea era quasi ignorata. Segue il canto dell’Exultet che oggi può essere cantato anche da un cantore. Alcune voci critiche hanno sottolineato l’”assenza” dello Spirito santo, alquanto importante nel senso del “fecondatore” dell’acqua battesimale. Forse sarebbe più opportuno anche collocarlo dopo la Liturgia della Parola come sintesi di essa. 

La Liturgia della Parola è stata arricchita con le orazioni “a scelta”, che rendono più facile la comprensione delle letture. Oggi abbiamo nove letture scelte dall’Antico e dal Nuovo testamento. Si può tralasciarne qualcuna, mai però quella dell’Esodo, cioè del passaggio del Mar Rosso. Nel varco dall’Antico al Nuovo si ha il canto del Gloria – canto pasquale per eccellenza - accompagnato dal suono delle campane. Quell’inno nell’Occidente fu riservato proprio alla Notte santa. A ciò si aggiungono diversi “Alleluia” che annunziano la gioia della Risurrezione del Signore. 

Alla Liturgia della Parola segue la Liturgia Battesimale. Il messale presenta due varianti: quando ci sono i battezzandi, oppure la sola benedizione dell’acqua lustrale. Qui vediamo una novità non indifferente: la rinnovazione delle promesse battesimali e l’aspersione dell’assemblea con l’acqua benedetta. I fedeli portano in mano la candela accesa col fuoco nuovo, che simboleggia l’attesa del Signore che ritorna alla fine dei tempi. E’ da sottolineare che i padri più che l’attesa della risurrezione vedono qui l’attesa escatologica. Parafrasando si potrebbe dire: “se vedete la prima alba celebrate l’Eucaristia. E’ segno che questa volta il Signore non verrà”. 

Si è voluto lasciare alla Veglia il senso battesimale. Pertanto se ci sono i candidati al battesimo qui ha il luogo la celebrazione del sacramento. 

Al termine la celebrazione prosegue con l’Eucaristia. Tutto il mondo cosmico è rinnovato dal Mistero Pasquale. I neo-battezzati per la prima volta si comunicano assieme con tutti i fedeli. Tutti partecipano al sacramento dell’altare, a cui l’intera preparazione quaresimale e il digiuno intra-pasquale hanno portato. 

Purtroppo dal punto di vista pastorale c’è ancora molto da fare, perché la Veglia sia riscoperta anche da parte dei fedeli. La Vigilia di Natale ad es., riesce abbastanza bene; tanto più dovrebbe essere celebrata questa, La Madre di tutte le veglie, unica nell’anno. Si dovrebbero forse, accentuare maggiormente gli elementi fondamentali di questa celebrazione: la Liturgia della Parola, la celebrazione dell’acqua e soprattutto la celebrazione dell’Eucaristia, che è il coronamento di esse. Quest’ultima rischia però di passare in secondo ordine, in quanto non comporta una propria originalità.




sabato 12 aprile 2014

Domenica delle Palme


Domenica delle Palme e della Passione. Inizia la Settimana Santa, la settimana delle settimane, nella quale la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita.

La liturgia di oggi inizia con il trionfo dell'ingresso a Gerusalemme e prosegue con il racconto della passione e morte di Gesù sul Calvario. Le palme e la croce, l'acclamazione "Osanna" e il grido "Crocifiggilo!". Perché questo accostamento? Gesù aveva solo annunciato che la croce è il prezzo da pagare per risorgere. È una motivazione, non la spiegazione. Che poi nella croce debba vedersi il disegno divino, diventa un puro atto di fede. E di questo mistero Gesù stesso portò tutto il peso nell'orto del Getsemani laddove si riscontrano quelli che i medici chiamano i "sintomi da panico": sudorazione di sangue, desiderio di fuggire, paura di morire, caduta a terra, angoscia.
La spiegazione è in un mistero ancora più profondo, l'amore di Dio. Un amore che portò Gesù laddove il suo cuore non lo avrebbe voluto portare ma quando capì, nell'orto degli ulivi, che l'amore gli chiedeva questo andare fino in fondo, "fino alla fine", non si tirò indietro, anche se sudava sangue. Ecco perché nel suo corpo squarciato si squarcia anche il velo del tempio che celava il volto di Dio. Guardando al crocifisso Giovanni dice: Dio è amore.

Questa Domenica ci presenta Gesù, ponendo la processione delle palme? che è il segno liturgico del trionfo del Signore? come introduzione al racconto della sua passione. "Dio non è venuto a spiegare la sofferenza: è venuto a riempirla della sua presenza", scriveva Paul Claudel. Solo se teniamo presente questo tesoro nascosto dentro il nostro soffrire e dentro il dolore del mondo, questo può acquistare significato.
Gesù non ci invia nel mondo come testimoni della croce, ma come testimoni della sua resurrezione, di un amore così grande? "fino alla fine"? da vincere ogni morte. Ci sono testimoni di questo tipo?

Così si legge nel testamento lasciato da padre Christian de Chenge, trappista, priore di Notre Dame d'Atlas, in Algeria, ucciso una decina di anni fa insieme con altri sei confratelli: "...evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con precipitazione un ingenuo o un idealista: «Ci dica adesso quel che pensa!». Ma queste persone devono sapere che la mia più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre per contemplare con lui i suoi figli dell'Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua Passione, investiti dal dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre quella di stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando con le differenze. Questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante tutto e contro tutto... E anche te, amico dell'ultimo minuto, che non sapevi quel che facevi. Sì, anche per te voglio prevedere questo Grazie e questo Addio, con il volto tuo. E che sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piacerà a Dio, nostro Padre comune. Amen! Insciallah!".
Sembrano parole da un altro mondo. Sono solo pronunciate a due metri da terra. In cima ad una croce. La croce del Figlio, apice della più completa incomprensione e abbandono. "Se sei Figlio di Dio..." è la parola che risuona con maggiore insistenza durante tutta la passione, negando l'identità più profonda di Gesù. Il Vangelo di Matteo mostra che proprio nella morte di Gesù si compiono tutte le profezie e il Figlio si svela tale per il suo abbandono fiducioso nelle mani di Colui che non lo abbandona. Perciò la croce non è oscuramento, ma teofania, rivelazione del vero volto di Dio che è amore.



martedì 25 marzo 2014

Annunciazione


L'Annunciazione del Signore, che la Chiesa ci fa meditare oggi, mette a confronto la fede di Maria e la sua accoglienza del Verbo di Dio, e l'incredulità dei discepoli di Cristo che la Parola ci ha proposto fino ad oggi. Maria crede fin dall'inizio: lei, "la piena di grazia", crede alle parole dell'angelo, senza aver visto miracoli, prima di aver ascoltato le parole di Gesù. La liturgia ci riporta alle origini della storia di Gesù, ci ricorda che il suo concepimento è frutto dello Spirito Santo. Il dono del Messia esige un'accoglienza piena come quella di Maria che apre il suo grembo, che chiede all'angelo qual è la sua parte nel progetto di Dio: «Come è possibile? Non conosco uomo», e che risponde: «Ecco sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto»: modello di fede per ogni credente.

Il brano evangelico che precede l'annunciazione del Signore narra dell'annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista (Lc1,5-23), e in queste due figure troviamo i due modi possibili di rispondere alla Grazia di Dio. Zaccaria umanamente non può credere che ciò avvenga, perché Elisabetta è ormai avanti negli anni, e di fronte alla sua incredulità Dio gli toglie il dono della parola. Non hai creduto alla parola di Dio, non potrai più parlare fino a che non nascerà Giovanni. Zaccaria, il sacerdote, che osserva tutte le Leggi, non è pronto ad accogliere la Grazia di Dio. All'opposto, Maria, una ragazza poco più che adolescente, non solo non fa obiezioni alle parole dell'angelo ma si pone, anzi, in una dimensione di servizio, di disponibilità, pur non conoscendo per quali strade Dio l'avrebbe condotta. La fanciulla di Nazaret si sente annunciare due notizie umanamente sconvolgenti: sarà Madre del Messia e la maternità si realizzerà per lei senza partecipazione umana. Possiamo immaginare lo sbigottimento di Maria che, essendo già "promessa sposa" di Giuseppe, rischiava di venire lapidata per adulterio. Spesso accogliere il disegno di Dio su di noi può sembrare una follia, ma c'è bisogno di una fiducia piena in Lui, affinché i piani di Dio su di noi e sull'umanità si possano realizzare

sabato 11 gennaio 2014

Battesimo di Gesù

Il battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista è narrato nei vangeli sinottici, mentre il Vangelo secondo Giovanni presenta la testimonianza da parte di Giovanni Battista della discesa dello Spirito Santo su Gesù ma non parla del suo battesimo.

L'episodio si colloca nell'ambito dell'attività di Giovanni Battista, che battezza il popolo nelle acque del Giordano.

Nel Vangelo secondo Marco Gesù si reca da Nazaret (in Galilea) sulle rive del Giordano, dove viene battezzato da Giovanni Battista. Uscendo dall'acqua, vede i cieli aprirsi e lo Spirito scendere su di lui come una colomba, mentre si ode una "voce dal cielo" che dice «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto».

Anche nel Vangelo secondo Matteo Gesù va dalla Galilea alle rive del Giordano per farsi battezzare da Giovanni; in questo vangelo, però, si narra anche di come Giovanni Battista cerchi di impedirglielo dicendogli «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?», ma Gesù lo convince rispondendogli «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Come in Marco, anche in Matteo Gesù, uscendo dalle acque, vede il cielo aprirsi e discendere lo Spirito di Dio sotto forma di colomba, mentre una voce dal cielo afferma «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».

Nel Vangelo secondo Luca "tutto il popolo" è battezzato e anche Gesù si fa battezzare; mentre è raccolto in preghiera, il cielo si apre e scende su di lui lo Spirito Santo sotto forma di colomba, mentre si ode una voce celeste che dice «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto».

Nel Vangelo secondo Giovanni non si parla, invece, di battesimo, ma solo di discesa dello Spirito sotto forma di colomba. Giovanni Battista rende infatti testimonianza dicendo che colui il quale lo aveva mandato a battezzare con acqua lo aveva avvisato che colui sul quale avrebbe visto scendere lo Spirito per rimanervi sarebbe stato colui che avrebbe battezzato nello Spirito Santo (invece che in acqua come Giovanni), e che aveva visto lo Spirito discendere dal cielo sotto forma di colomba su Gesù e di averlo riconosciuto come Figlio di Dio.