Pereto - Rocca di Botte

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sabato 29 dicembre 2018

Omelia del Santo Padre Francesco Natale 2018




Giuseppe, con Maria sua sposa, salì «alla città di Davide chiamata Betlemme» (Lc2,4). Stanotte, anche noi saliamo a Betlemme per scoprirvi il mistero del Natale.
1. Betlemme: il nome significa casa del pane. In questa “casa” il Signore dà oggi appuntamento all’umanità. Egli sa che abbiamo bisogno di cibo per vivere. Ma sa anche che i nutrimenti del mondo non saziano il cuore. Nella Scrittura, il peccato originale dell’umanità è associato proprio col prendere cibo: «prese del frutto e ne mangiò», dice il libro della Genesi (3,6). Prese e mangiò. L’uomo è diventato avido e vorace. Avere, riempirsi di cose pare a tanti il senso della vita. Un’insaziabile ingordigia attraversa la storia umana, fino ai paradossi di oggi, quando pochi banchettano lautamente e troppi non hanno pane per vivere.
Betlemme è la svolta per cambiare il corso della storia. Lì Dio, nella casa del pane, nasce in una mangiatoia. Come a dirci: eccomi a voi, come vostro cibo. Non prende, offre da mangiare; non dà qualcosa, ma sé stesso. A Betlemme scopriamo che Dio non è qualcuno che prende la vita, ma Colui che dona la vita. All’uomo, abituato dalle origini a prendere e mangiare, Gesù comincia a dire: «Prendete, mangiate. Questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Il corpicino del Bambino di Betlemme lancia un nuovo modello di vita: non divorare e accaparrare, ma condividere e donare. Dio si fa piccolo per essere nostro cibo. Nutrendoci di Lui, Pane di vita, possiamo rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia. Dalla “casa del pane”, Gesù riporta l’uomo a casa, perché diventi familiare del suo Dio e fratello del suo prossimo. Davanti alla mangiatoia, capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire.
Il Signore sa che abbiamo bisogno ogni giorno di nutrirci. Perciò si è offerto a noi ogni giorno della sua vita, dalla mangiatoia di Betlemme al cenacolo di Gerusalemme. E oggi ancora sull’altare si fa Pane spezzato per noi: bussa alla nostra porta per entrare e cenare con noi (cfr Ap 3,20). A Natale riceviamo in terra Gesù, Pane del cielo: è un cibo che non scade mai, ma ci fa assaporare già ora la vita eterna.
A Betlemme scopriamo che la vita di Dio scorre nelle vene dell’umanità. Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi. Perché quando Gesù cambia il cuore, il centro della vita non è più il mio io affamato ed egoista, ma Lui, che nasce e vive per amore. Chiamati stanotte a salire a Betlemme, casa del pane, chiediamoci: qual è il cibo della mia vita, di cui non posso fare a meno? È il Signore o è altro? Poi, entrando nella grotta, scorgendo nella tenera povertà del Bambino una nuova fragranza di vita, quella della semplicità, chiediamoci: ho davvero bisogno di molte cose, di ricette complicate per vivere? Riesco a fare a meno di tanti contorni superflui, per scegliere una vita più semplice? A Betlemme, accanto a Gesù, vediamo gente che ha camminato, come Maria, Giuseppe e i pastori. Gesù è il Pane del cammino. Non gradisce digestioni pigre, lunghe e sedentarie, ma chiede di alzarsi svelti da tavola per servire, come pani spezzati per gli altri. Chiediamoci: a Natale spezzo il mio pane con chi ne è privo?
2. Dopo Betlemme casa del pane, riflettiamo su Betlemme città di Davide. Lì Davide, da ragazzo, faceva il pastore e come tale fu scelto da Dio, per essere pastore e guida del suo popolo. A Natale, nella città di Davide, ad accogliere Gesù ci sono proprio i pastori. In quella notte «essi – dice il Vangelo – furono presi da grande timore» (Lc 2,9), ma l’angelo disse loro: «non temete» (v. 10). Torna tante volte nel Vangelo questo non temete: sembra il ritornello di Dio in cerca dell’uomo. Perché l’uomo, dalle origini, ancora a causa del peccato, ha paura di Dio: «ho avuto paura e mi sono nascosto» (Gen 3,10), dice Adamo dopo il peccato. Betlemme è il rimedio alla paura, perché nonostante i “no” dell’uomo, lì Dio dice per sempre “sì”: per sempre sarà Dio-con-noi. E perché la sua presenza non incuta timore, si fa tenero bambino. Non temete: non viene detto a dei santi, ma a dei pastori, gente semplice che al tempo non si distingueva certo per garbo e devozione. Il Figlio di Davide nasce tra i pastori per dirci che mai più nessuno è solo; abbiamo un Pastore che vince le nostre paure e ci ama tutti, senza eccezioni.
I pastori di Betlemme ci dicono anche come andare incontro al Signore. Essi vegliano nella notte: non dormono, ma fanno quello che Gesù più volte chiederà: vegliare (cfr Mt 25,13; Mc 13,35; Lc 21,36). Restano vigili, attendono svegli nel buio; e Dio «li avvolse di luce» (Lc 2,9). Vale anche per noi. La nostra vita può essere un’attesa, che anche nelle notti dei problemi si affida al Signore e lo desidera; allora riceverà la sua luce. Oppure una pretesa, dove contano solo le proprie forze e i propri mezzi; ma in questo caso il cuore rimane chiuso alla luce di Dio. Il Signore ama essere atteso e non lo si può attendere sul divano, dormendo. Infatti i pastori si muovono: «andarono senza indugio», dice il testo (v. 16). Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio. E dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo, tanto che «tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (v. 18).
Attendere svegli, andare, rischiare, raccontare la bellezza: sono gesti di amore. Il buon Pastore, che a Natale viene per dare la vita alle pecore, a Pasqua rivolgerà a Pietro e, attraverso di lui a tutti noi, la domanda finale: «Mi ami?» (Gv21,15). Dalla risposta dipenderà il futuro del gregge. Stanotte siamo chiamati a rispondere, a dirgli anche noi: “Ti amo”. La risposta di ciascuno è essenziale per il gregge intero.
«Andiamo dunque fino a Betlemme» (Lc2,15): così dissero e fecero i pastori. Pure noi, Signore, vogliamo venire a Betlemme. La strada, anche oggi, è in salita: va superata la vetta dell’egoismo, non bisogna scivolare nei burroni della mondanità e del consumismo. Voglio arrivare a Betlemme, Signore, perché è lì che mi attendi. E accorgermi che Tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della mia vita. Ho bisogno della fragranza tenera del tuo amore per essere, a mia volta, pane spezzato per il mondo. Prendimi sulle tue spalle, buon Pastore: da Te amato, potrò anch’io amare e prendere per mano i fratelli. Allora sarà Natale, quando potrò dirti: “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo” (cfr Gv 21,17).

Papa Francesco

lunedì 24 dicembre 2018

Santa Messa di Natale


24 Dicembre ore 23.00 santo Rosario
                        ore 24.00 Messa di Natale
25 Dicembre ore 9.30 Santa Messa
                        ore 16.30 Santa Messa



venerdì 27 aprile 2018

Incontri di formazione: "Vedere per credere o credere per vedere?"


Pastorale giovanile - Diocesi di Avezzano




Esortazione Apostolica " Gaudete et exsultate" - Papa Francesco

Per essere santi non è necessario essere vescovi, 
sacerdoti, religiose o religiosi. 

Molte volte abbiamo la tentazione di pensare
che la santità sia riservata a coloro 
che hanno la possibilità di mantenere 
le distanze dalle occupazioni ordinarie, 
per dedicare molto tempo alla preghiera. 

Non è così. 

Tutti siamo chiamati ad essere santi 
vivendo con amore e offrendo ciascuno 
la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova...

Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi 
in un cammino di santità. 
Lascia che tutto sia aperto a Dio 
e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo.

Non ti scoraggiare, 
perché hai la forza dello Spirito Santo 
affinché sia possibile, e la santità, 
in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cfr Gal 5,22-23)...

Nella Chiesa, santa e composta da peccatori, 
troverai tutto ciò di cui hai bisogno 
per crescere verso la santità. 

Il Signore l’ha colmata di doni 
con la Parola, i Sacramenti, i santuari, 
la vita delle comunità, la testimonianza dei santi, 
e una multiforme bellezza 
che procede dall’amore del Signore, 
«come una sposa si adorna di gioielli» (Is 61,10).

Domenica 22 Aprile 2018

«Io sono il buon pastore – dice Gesù – 
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 
come il Padre conosce me e io conosco il Padre» (vv. 14-15). 

Gesù non parla di una conoscenza intellettiva, 
no, ma di una relazione personale, 
di predilezione, di tenerezza reciproca, 
riflesso della stessa relazione intima 
di amore tra Lui e il Padre.

 È questo l’atteggiamento attraverso il quale 
si realizza un rapporto vivo con Gesù: 
lasciarci conoscere da Lui. 

Non chiudersi in sé stessi, 
aprirsi al Signore, perché Lui mi conosca. 
Egli è attento a ciascuno di noi, 
conosce in profondità il nostro cuore: 
conosce i nostri pregi e i nostri difetti, 
i progetti che abbiamo realizzato 
e le speranze che sono andate deluse.

Ma ci accetta così come siamo, 
anche con i nostri peccati, 
per guarirci, per perdonarci, ci guida con amore, 
perché possiamo attraversare sentieri 
anche impervi senza smarrire la via.
Ci accompagna Lui.

A nostra volta, noi siamo chiamati a conoscere Gesù
Ciò implica un incontro con Lui, 
un incontro che susciti il desiderio di seguirlo 
abbandonando gli atteggiamenti autoreferenziali 
per incamminarsi su strade nuove, 
indicate da Cristo stesso e aperte su vasti orizzonti. 

Quando nelle nostre comunità 
si raffredda il desiderio di vivere il rapporto con Gesù, 
di ascoltare la sua voce e di seguirlo fedelmente, 
è inevitabile che prevalgano altri modi di pensare 
e di vivere che non sono coerenti col Vangelo. 

Maria, la nostra Madre ci aiuti a maturare 
una relazione sempre più forte con Gesù. 
Aprirci a Gesù, perché entri dentro di noi. 

Una relazione più forte: Lui è risorto. 
Così possiamo seguirlo per tutta la vita. 

In questa Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 
Maria interceda, perché tanti rispondano con generosità 
e perseveranza al Signore che chiama 
a lasciare tutto per il suo Regno.

Regina Coeli Papa Francesco


Domenica 15 Aprile 2018

Fratelli e sorelle, 
chiediamo la grazia di credere 
che Cristo è vivo, è risorto! 

Questa è la nostra fede, 
e se noi crediamo a questo,
le altre cose sono secondarie.

 Questa è la nostra vita, 
questa è la nostra vera gioventù. 
La vittoria di Cristo sulla morte,
 la vittoria di Cristo sul peccato. 

Cristo è vivo. 
“Sì, sì, adesso farò la Comunione…”.
 Ma quando tu fai la Comunione, 
sei sicuro che Cristo è vivo lì, è risorto? 
“Sì, è un po’ di pane benedetto…” 
No, è Gesù! Cristo è vivo, 
è risorto in mezzo a noi 
e se noi non crediamo questo, 
non saremo mai buoni cristiani, 
non potremo esserlo.

“Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore”. 
Chiediamo al Signore la grazia 
che la gioia non ci impedisca di credere, 
la grazia di toccare Gesù risorto: 
toccarlo nell’incontro mediante la preghiera; 
nell’incontro mediante i sacramenti;
 nell’incontro con il suo perdono 
che è la rinnovata giovinezza della Chiesa; 
nell’incontro con gli ammalati, quando andiamo a trovarli, 
con i carcerati, con quelli che sono i più bisognosi, 
con i bambini, con gli anziani. 

Se noi sentiamo la voglia di fare qualcosa di buono, 
è Gesù risorto che ci spinge a questo. 
E’ sempre la gioia, la gioia che ci fa giovani.

Chiediamo la grazia di essere una comunità gioiosa,
perché ognuno di noi è sicuro, 
ha fede, ha incontrato il Cristo risorto.

Omelia Papa Francesco


Domenica 8 Aprile 2018

Nel Vangelo odierno ritorna più volte il verbo vedere
«I discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,20); 
poi dissero a Tommaso: «Abbiamo visto il Signore» (v. 25). 
Ma il Vangelo non descrive come lo videro, 
non descrive il Risorto, evidenzia solo un particolare: 
«Mostrò loro le mani e il fianco» (v. 20)...

Come possiamo vederlo? Come i discepoli: 
attraverso le sue piaghe. 
Guardando lì, essi hanno compreso 
che non li amava per scherzo e che li perdonava, 
nonostante tra loro ci fosse chi l’aveva rinnegato 
e chi l’aveva abbandonato. 
Entrare nelle sue piaghe è 
contemplare l’amore smisurato 
che sgorga dal suo cuore. 
Questa è la strada.

 È capire che il suo cuore batte 
per me, per te, per ciascuno di noi. 

Cari fratelli e sorelle, 
possiamo ritenerci e dirci cristiani, 
e parlare di tanti bei valori della fede, 
ma, come i discepoli, 
abbiamo bisogno di vedere Gesù 
toccando il suo amore
Solo così andiamo al cuore della fede e, 
come i discepoli, troviamo 
una pace e una gioia (cfr vv. 19-20) 
più forti di ogni dubbio.

Omelia Papa Francesco


Sabato Santo 2018

E’ la notte del silenzio del discepolo 
che si trova intirizzito e paralizzato, 
senza sapere dove andare 
di fronte a tante situazioni dolorose 
che lo opprimono e lo circondano. 

E’ il discepolo di oggi, 
ammutolito davanti a una realtà 
che gli si impone facendogli sentire e, 
ciò che è peggio, 
credere che non si può fare nulla 
per vincere tante ingiustizie 
che vivono nella loro carne tanti nostri fratelli...

E in mezzo ai nostri silenzi, 
quando tacciamo in modo così schiacciante, 
allora le pietre cominciano a gridare (cfr Lc 19,40)
e a lasciare spazio al più grande annuncio 
che la storia abbia mai potuto contenere nel suo seno:
 «Non è qui. E’ risorto» (Mt 28,6)...

E se ieri, con le donne, 
abbiamo contemplato «colui che hanno trafitto» (Gv 19,37; cfr Zc 12,10), 
oggi con esse siamo chiamati a contemplare la tomba vuota 
e ad ascoltare le parole dell’angelo: 
«Non abbiate paura […] E’ risorto» (Mt 28,5-6). 
Parole che vogliono raggiungere 
le nostre convinzioni e certezze più profonde, 
i nostri modi di giudicare 
e di affrontare gli avvenimenti quotidiani; 
specialmente il nostro modo di relazionarci con gli altri....

E’ risorto! 
E’ l’annuncio che sostiene la nostra speranza 
e la trasforma in gesti concreti di carità. 
Quanto abbiamo bisogno di lasciare 
che la nostra fragilità sia unta da questa esperienza! 
Quanto abbiamo bisogno 
che la nostra fede sia rinnovata, 
che i nostri miopi orizzonti siano messi in discussione 
e rinnovati da questo annuncio! 
Egli è risorto e con Lui risorge la nostra speranza creativa 
per affrontare i problemi attuali, 
perché sappiamo che non siamo soli.

(Papa Francesco Omelia della Veglia Pasquale 2018)




venerdì 30 marzo 2018

Venerdì Santo 2018


lunedì 26 marzo 2018

Santa Settimana Santa


domenica 25 marzo 2018

Domenica delle Palme - 25 Marzo 2018

E a voi, cari giovani, 
la gioia che Gesù suscita in voi è per alcuni motivo di fastidio e anche di irritazione, 
perché un giovane gioioso è difficile da manipolare. 
Un giovane gioioso è difficile da manipolare!

Ma esiste in questo giorno la possibilità di un terzo grido:
 «Alcuni farisei tra la folla gli dissero: 
“Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”; 
ed Egli rispose:
 “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”» (Lc 19,39-40).

Far tacere i giovani è una tentazione che è sempre esistita. 
Gli stessi farisei se la prendono con Gesù e gli chiedono di calmarli e farli stare zitti.

Ci sono molti modi per rendere i giovani silenziosi e invisibili. 
Molti modi di anestetizzarli e addormentarli perché non facciano “rumore”,
 perché non si facciano domande e non si mettano in discussione. 
“State zitti voi!”. 
Ci sono molti modi di farli stare tranquilli perché non si coinvolgano 
e i loro sogni perdano quota e diventino fantasticherie rasoterra, meschine, tristi.


Cari giovani, sta a voi la decisione di gridare,
 sta a voi decidervi per l’Osanna della domenica 
così da non cadere nel “crocifiggilo!” del venerdì… 
E sta a voi non restare zitti. 
Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili – tante volte corrotti – stiamo zitti,
 se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi griderete?

Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre.

(Papa Francesco, Omelia Domenica delle Palme 25 Marzo 2018)



TRIDUO PASQUALE 2018


sabato 24 marzo 2018

ORARI SANTA MESSA

CON IL CAMBIO DELL'ORA
GLI ORARI DELLE S. MESSE
RIMARRANNO INVARIATI


SABATO 16,30
DOMENICA 9,30 e 16,30




venerdì 23 marzo 2018

Giornata diocesana dei giovani 2018


lunedì 19 marzo 2018

Papa Francesco - Incontro pre-sinodale dei Giovani

Risultati immagini per incontro pre sinodale

Cari giovani,
 il cuore della Chiesa è giovane proprio perché il Vangelo
 è come una linfa vitale che la rigenera continuamente.
 Sta a noi essere docili e cooperare a questa fecondità.
 E tutti voi potete collaborare a questa fecondità:
 che siate cristiani cattolici, o di altre religioni, o non credenti.

 Vi chiediamo di collaborare alla fecondità nostra, a dare vita.
 Lo facciamo anche in questo cammino sinodale,
 pensando alla realtà dei giovani di tutto il mondo.
 Abbiamo bisogno di riappropriarci dell’entusiasmo
 della fede e del gusto della ricerca.

 Abbiamo bisogno di ritrovare nel Signore
 la forza di risollevarci dai fallimenti, di andare avanti,
 di rafforzare la fiducia nel futuro.
 E abbiamo bisogno di osare sentieri nuovi.
 Non spaventatevi: osare sentieri nuovi,
 anche se ciò comporta dei rischi.
 Un uomo, una donna che non rischia, non matura.
Un’istituzione che fa scelte per non rischiare rimane bambina, non cresce.
 Rischiate, accompagnati dalla prudenza, dal consiglio, ma andate avanti.
 Senza rischiare, sapete cosa succede a un giovane?
 Invecchia! Va in pensione a 20 anni!
 Un giovane invecchia e anche la Chiesa invecchia.
 Lo dico con dolore.
 Quante volte io trovo comunità cristiane,
 anche di giovani, ma vecchie.
 Sono invecchiate perché avevano paura.
 Paura di che? Di uscire, di uscire verso le periferie esistenziali della vita,
 di andare là dove si gioca il futuro. 

(Incontro pre-sinodale del Santo Padre Francesco con i giovani, 19 Marzo 2018)






Già da ora vi dico grazie;
 e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.
 E quelli che non possono pregare, perché non sanno pregare,
 almeno mi pensino bene. Grazie.
(Papa Francesco)

V Domenica di Quaresima anno B - 18 Marzo 2018

Cristo, 
nei giorni della sua vita terrena, 
offrì preghiere e suppliche, 
con forti grida e lacrime, 
a Dio che poteva salvarlo da morte e, 
per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. 


Pur essendo Figlio, 

imparò l’obbedienza da ciò che patì e, 
reso perfetto, 
divenne causa di salvezza eterna 
per tutti coloro che gli obbediscono.

(Eb 5, 7-9)


“Come guardo io il crocifisso?"
 Per spiegare il significato della sua morte e risurrezione, Gesù si serve di un’immagine e dice: 

«Se il chicco di grano, caduto in terra, 
non muore, rimane solo; se invece muore, 
produce molto frutto» (Gv 12,24). 

Vuole far capire che la sua vicenda estrema – cioè la croce, morte e risurrezione – 
è un atto di fecondità – le sue piaghe ci hanno guariti – 
una fecondità che darà frutto per molti. 
Così paragona sé stesso al chicco di grano che marcendo nella terra genera nuova vita. 

Questo è il mistero di Cristo. 
Va’ verso le sue piaghe, entra, contempla; 
vedi Gesù, ma da dentro.

E questo dinamismo del chicco di grano, compiutosi in Gesù, 
deve realizzarsi anche in noi suoi discepoli: 
siamo chiamati a fare nostra questa legge pasquale del perdere la vita 
per riceverla nuova ed eterna. 
E che cosa significa perdere la vita
Cioè, che cosa significa essere il chicco di grano? 
Significa pensare di meno a sé stessi, agli interessi personali, 
e saper “vedere” e andare incontro ai bisogni del nostro prossimo, 
specialmente degli ultimi. 

(Papa Francesco, Angelus 18 Marzo 2018)