Cristo,
nei giorni della sua vita terrena,
offrì preghiere e suppliche,
con forti grida e lacrime,
a Dio che poteva salvarlo da morte e,
per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio,
imparò l’obbedienza da ciò che patì e,
reso perfetto,
divenne causa di salvezza eterna
per tutti coloro che gli obbediscono.
(Eb 5, 7-9)
“Come guardo io il crocifisso?"
Per spiegare il significato della sua morte e risurrezione, Gesù si serve di un’immagine e dice:
«Se il chicco di grano, caduto in terra,
non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto» (Gv 12,24).
Vuole far capire che la sua vicenda estrema – cioè la croce, morte e risurrezione –
è un atto di fecondità – le sue piaghe ci hanno guariti –
una fecondità che darà frutto per molti.
Così paragona sé stesso al chicco di grano che marcendo nella terra genera nuova vita.
Questo è il mistero di Cristo.
Va’ verso le sue piaghe, entra, contempla;
vedi Gesù, ma da dentro.
E questo dinamismo del chicco di grano, compiutosi in Gesù,
deve realizzarsi anche in noi suoi discepoli:
siamo chiamati a fare nostra questa legge pasquale del perdere la vita
per riceverla nuova ed eterna.
E che cosa significa perdere la vita?
Cioè, che cosa significa essere il chicco di grano?
Significa pensare di meno a sé stessi, agli interessi personali,
e saper “vedere” e andare incontro ai bisogni del nostro prossimo,
specialmente degli ultimi.
(Papa Francesco, Angelus 18 Marzo 2018)
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