Pereto - Rocca di Botte

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martedì 24 dicembre 2013

LA VEGLIA DI MEZZANOTTE DEL 24 DICEMDRE SARA' CELEBRATA NELLA PARROCCHIA DI ROCCA DI BOTTE.

NEL GIORNO DI NATALE, 25 DICEMBRE GLI ORARI DELLE SANTE MESSA CORRISPONDONO A QUELLE DELLA DOMENICA:
MATTINA 09.30 E POMERIGGIO 16.30

BUONE FESTE! 


sabato 26 ottobre 2013

orari santa messa

 

AGGIORNAMENTO

ORARI SANTA MESSA 

(ora solare)

 

SABATO ORE 16.00



 

DOMENICA ORE 09.30 E 16.30

venerdì 23 agosto 2013

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ
DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza della Libertà, Castel Gandolfo
Giovedì 15 agosto 2013


Cari fratelli e sorelle!
Al termine della Costituzione sulla Chiesa, il Concilio Vaticano II ci ha lasciato una meditazione bellissima su Maria Santissima. Ricordo soltanto le espressioni che si riferiscono al mistero che celebriamo oggi: La prima è questa: «L’immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste col suo corpo e la sua anima, e dal Signore esaltata come la regina dell’universo» (n. 59). E poi, verso la fine, vi è quest’altra: «La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio in cammino, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (n. 68). Alla luce di questa bellissima icona di nostra Madre, possiamo considerare il messaggio contenuto nelle Letture bibliche che abbiamo appena ascoltato. Possiamo concentrarci su tre parole-chiave: lotta, risurrezione, speranza.
Il brano dell’Apocalisse presenta la visione della lotta tra la donna e il drago. La figura della donna, che rappresenta la Chiesa, è da una parte gloriosa, trionfante, e dall’altra ancora in travaglio. Così in effetti è la Chiesa: se in Cielo è già associata alla gloria del suo Signore, nella storia vive continuamente le prove e le sfide che comporta il conflitto tra Dio e il maligno, il nemico di sempre. E in questa lotta che i discepoli di Gesù devono affrontare – noi tutti, noi, tutti i discepoli di Gesù dobbiamo affrontare questa lotta – Maria non li lascia soli; la Madre di Cristo e della Chiesa è sempre con noi. Sempre, cammina con noi, è con noi. Anche Maria, in un certo senso, condivide questa duplice condizione. Lei, naturalmente, è ormai una volta per sempre entrata nella gloria del Cielo. Ma questo non significa che sia lontana, che sia staccata da noi; anzi, Maria ci accompagna, lotta con noi, sostiene i cristiani nel combattimento contro le forze del male. La preghiera con Maria, in particolare il Rosario – ma sentite bene: il Rosario. Voi pregate il Rosario tutti i giorni? Ma, non so… [la gente grida: Sì!] Sicuro? Ecco, la preghiera con Maria, in particolare il Rosario ha anche questa dimensione “agonistica”, cioè di lotta, una preghiera che sostiene nella battaglia contro il maligno e i suoi complici. Anche il Rosario ci sostiene nella battaglia.
La seconda Lettura ci parla della risurrezione. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, insiste sul fatto che essere cristiani significa credere che Cristo è veramente risorto dai morti. Tutta la nostra fede si basa su questa verità fondamentale che non è un’idea ma un evento. E anche il mistero dell’Assunzione di Maria in corpo e anima è tutto inscritto nella Risurrezione di Cristo. L’umanità della Madre è stata “attratta” dal Figlio nel suo passaggio attraverso la morte. Gesù è entrato una volta per sempre nella vita eterna con tutta la sua umanità, quella che aveva preso da Maria; così lei, la Madre, che Lo ha seguito fedelmente per tutta la vita, Lo ha seguito con il cuore, è entrata con Lui nella vita eterna, che chiamiamo anche Cielo, Paradiso, Casa del Padre.
Anche Maria ha conosciuto il martirio della croce: il martirio del suo cuore, il martirio dell’anima. Lei ha sofferto tanto, nel suo cuore, mentre Gesù soffriva sulla croce. La Passione del Figlio l’ha vissuta fino in fondo nell’anima. E’ stata pienamente unita a Lui nella morte, e per questo le è stato dato il dono della risurrezione. Cristo è la primizia dei risorti, e Maria è la primizia dei redenti, la prima di «quelli che sono di Cristo». E’ nostra Madre, ma anche possiamo dire è la nostra rappresentante, è la nostra sorella, la nostra prima sorella, è la prima dei redenti che è arrivata in Cielo.
 Il Vangelo ci suggerisce la terza parola: speranza. Speranza è la virtù di chi, sperimentando il conflitto, la lotta quotidiana tra la vita e la morte, tra il bene e il male, crede nella Risurrezione di Cristo, nella vittoria dell’Amore. Abbiamo sentito il Canto di Maria, il Magnificat: è il cantico della speranza, è il cantico del Popolo di Dio in cammino nella storia. E’ il cantico di tanti santi e sante, alcuni noti, altri, moltissimi, ignoti, ma ben conosciuti a Dio: mamme, papà, catechisti, missionari, preti, suore, giovani, anche bambini, nonni, nonne: questi hanno affrontato la lotta della vita portando nel cuore la speranza dei piccoli e degli umili. Maria dice: «L’anima mia magnifica il Signore» - anche oggi canta questo la Chiesa e lo canta in ogni parte del mondo. Questo cantico è particolarmente intenso là dove il Corpo di Cristo patisce oggi la Passione. Dove c’è la Croce, per noi cristiani c’è la speranza, sempre. Se non c’è la speranza, noi non siamo cristiani. Per questo a me piace dire: non lasciatevi rubare la speranza. Che non ci rubino la speranza, perché questa forza è una grazia, un dono di Dio che ci porta avanti guardando il Cielo. E Maria è sempre lì, vicina a queste comunità, a questi nostri fratelli, cammina con loro, soffre con loro, e canta con loro il Magnificat della speranza.
Cari fratelli e sorelle, uniamoci anche noi, con tutto il cuore, a questo cantico di pazienza e di vittoria, di lotta e di gioia, che unisce la Chiesa trionfante con quella pellegrinante, noi; che unisce la terra con il Cielo, che unisce la nostra storia con l’eternità, verso la quale camminiamo. Così sia.

www.vatican.va



sabato 29 giugno 2013

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

SANTA MESSA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO
AI NUOVI METROPOLITI
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Sabato, 
29 giugno 2013


Signori Cardinali,
Sua Eminenza Metropolita Ioannis,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Celebriamo la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni principali della Chiesa di Roma: una festa resa ancora più gioiosa per la presenza di Vescovi da tutto mondo. Una grande ricchezza che ci fa rivivere, in un certo modo, l’evento di Pentecoste: oggi, come allora, la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia.
Saluto di cuore e con gratitudine la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, guidata dal Metropolita Ioannis. Ringrazio il Patriarca ecumenico Bartolomeo I per questo rinnovato gesto fraterno. Saluto i Signori Ambasciatori e le Autorità civili. Un grazie speciale al Thomanerchor, il Coro della Thomaskirche [Chiesa di San Tommaso] di Lipsia - la chiesa di Bach - che anima la Liturgia e che costituisce un’ulteriore presenza ecumenica.
Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo “confermare”. In che cosa è chiamato a confermare il Vescovo di Roma?
1. Anzitutto, confermare nella fede. Il Vangelo parla della confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), una confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste. Ed è per questa confessione che Gesù dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (v. 18). Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto. Nella seconda parte del Vangelo di oggi vediamo il pericolo di pensare in modo mondano. Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: «si mise a rimproverare il Signore: …questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù ha una parola dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo. La fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa!
2. Confermare nell’amore. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato le commoventi parole di san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Di quale battaglia si tratta? Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere. E non solo il Vescovo di Roma: tutti voi, nuovi arcivescovi e vescovi, avete lo stesso compito: lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti. Il compito di non risparmiare, uscire di sé al servizio del santo popolo fedele di Dio.
3. Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa  Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro» (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E continua, il Concilio: «questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio» (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenzenon c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione.
Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell’episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen.

vatican.va



giovedì 9 maggio 2013

UDIENZA GENERALE Mercoledì, 8 maggio 2013


PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 8 maggio 2013


  
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il tempo pasquale che con gioia stiamo vivendo, guidati dalla liturgia della Chiesa, è per eccellenza il tempo dello Spirito Santo donato «senza misura» (cfr Gv 3,34) da Gesù crocifisso e risorto. Questo tempo di grazia si conclude con la festa della Pentecoste, in cui la Chiesa rivive l’effusione dello Spirito su Maria e gli Apostoli raccolti in preghiera nel Cenacolo.
Ma chi è lo Spirito Santo? Nel Credo noi professiamo con fede: «Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita». La prima verità a cui aderiamo nel Credo è che lo Spirito Santo è Kýrios, Signore. Ciò significa che Egli è veramente Dio come lo sono il Padre e il Figlio, oggetto, da parte nostra, dello stesso atto di adorazione e di glorificazione che rivolgiamo al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo, infatti, è la terza Persona della Santissima Trinità; è il grande dono del Cristo Risorto che apre la nostra mente e il nostro cuore alla fede in Gesù come il Figlio inviato dal Padre e che ci guida all’amicizia, alla comunione con Dio.
Ma vorrei soffermarmi soprattutto sul fatto che lo Spirito Santo è la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi. L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza. L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio! E Gesù ci dona quest’acqua viva: essa è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza», ci dice Gesù (Gv 10,10).
Gesù promette alla Samaritana di donare un’“acqua viva”, con sovrabbondanza e per sempre, a tutti coloro che lo riconoscono come il Figlio inviato dal Padre per salvarci (cfr Gv 4, 5-26; 3,17). Gesù è venuto a donarci quest’“acqua viva” che è lo Spirito Santo, perché la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio. Quando noi diciamo che il cristiano è un uomo spirituale intendiamo proprio questo: il cristiano è una persona che pensa e agisce secondo Dio, secondo lo Spirito Santo. Ma mi faccio una domanda: e noi, pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono propriamente Dio? Ciascuno di noi deve rispondere a questo nel profondo del suo cuore.
A questo punto possiamo chiederci: perché quest’acqua può dissetarci sino in fondo? Noi sappiamo che l’acqua è essenziale per la vita; senz’acqua si muore; essa disseta, lava, rende feconda la terra. Nella Lettera ai Romani troviamo questa espressione: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (5,5). L’“acqua viva”, lo Spirito Santo, Dono del Risorto che prende dimora in noi, ci purifica, ci illumina, ci rinnova, ci trasforma perché ci rende partecipi della vita stessa di Dio che è Amore. Per questo, l’Apostolo Paolo afferma che la vita del cristiano è animata dallo Spirito e dai suoi frutti, che sono «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22-23). Lo Spirito Santo ci introduce nella vita divina come “figli nel Figlio Unigenito”. In un altro passo della Lettera ai Romani, che abbiamo ricordato più volte, san Paolo lo sintetizza con queste parole: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi… avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “Abbà! Padre!”. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (8,14-17). Questo è il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di confidenza, di libertà e di fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri, vicini e lontani, visti sempre come fratelli e sorelle in Gesù da rispettare e da amare. Lo Spirito Santo ci insegna a guardare con gli occhi di Cristo, a vivere la vita come l’ha vissuta Cristo, a comprendere la vita come l’ha compresa Cristo. Ecco perché l’acqua viva che è lo Spirito Santo disseta la nostra vita, perché ci dice che siamo amati da Dio come figli, che possiamo amare Dio come suoi figli e che con la sua grazia possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù. E noi, ascoltiamo lo Spirito Santo? Cosa ci dice lo Spirito Santo? Dice: Dio ti ama. Ci dice questo. Dio ti ama, Dio ti vuole bene. Noi amiamo veramente Dio e gli altri, come Gesù? Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo, lasciamo che Lui ci parli al cuore e ci dica questo: che Dio è amore, che Dio ci aspetta, che Dio è il Padre, ci ama come vero Papà, ci ama veramente e questo lo dice soltanto lo Spirito Santo al cuore. Sentiamo lo Spirito Santo, ascoltiamo lo Spirito Santo e andiamo avanti per questa strada dell'amore, della misericordia e del perdono. Grazie.


Rivolgo il mio benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli della Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, con il Vescovo Mons. Gestori, convenuti alla Sede di Pietro in occasione dell’Anno della fede; quelli di Roiate e di Conversano, che incoronano rispettivamente la Madonna delle Grazie e la Madonna della Fonte; e i devoti del Santuario della Ravanusa, che celebrano il Giubileo Mariano. Saluto i sacerdoti, le religiose - in particolare il gruppo delle Figlie della Carità -, i seminaristi, i gruppi parrocchiali e le numerose scolaresche. La visita alle tombe degli Apostoli rafforzi in tutti la fede in Cristo, che, asceso alla destra del Padre, è sempre vivo e presente tra noi!
Oggi, 8 maggio, si eleva l’intensa preghiera della “Supplica alla Madonna del Rosario” di Pompei, composta dal Beato Bartolo Longo. Ci uniamo spiritualmente a questo popolare atto di fede e di devozione, affinché per intercessione di Maria, il Signore conceda misericordia e pace alla Chiesa e al mondo intero.
Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Madre di Gesù educhi voi, cari giovani, al coraggio delle scelte definitive; aiuti voi, cari ammalati, specialmente quelli dell’Unitalsi di Roma e della “Emme Due” di Sessa Aurunca, ad accettare la sofferenza con amore; e sia di modello a voi, cari sposi novelli, per costruire nella fedeltà la vostra unione coniugale.
Prima di cantare il Padre Nostro, ricordatevi: dobbiamo ascoltare lo Spirito Santo che è dentro di noi, sentirlo. Cosa ci dice? Che Dio è buono, che Dio è padre, che Dio ci ama, che Dio ci perdona sempre. Ascoltiamo lo Spirito Santo.


http://www.vatican.va/phome_it.htm



venerdì 5 aprile 2013

Orari messe

Estate 2019
ORARI SANTE MESSE:

Sabato ore 17,00

Domenica ore 09,30 e 17,00

Pace e Bene!



lunedì 1 aprile 2013

REGINA COELI


PAPA FRANCESCO
REGINA COELI
Piazza San Pietro
Lunedì dell'Angelo, 1° aprile 2013


Cari fratelli e sorelle,
buongiorno, e buona Pasqua a tutti voi! Vi ringrazio di essere venuti anche oggi numerosi, per condividere la gioia della Pasqua, mistero centrale della nostra fede. Che la forza della Risurrezione di Cristo possa raggiungere ogni persona - specialmente chi soffre – e tutte le situazioni più bisognose di fiducia e di speranza.
Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società. Per questo mi sembra importante sottolineare quello che oggi domandiamo a Dio nella liturgia: «O Padre, che fai crescere la tua Chiesa donandole sempre nuovi figli, concedi ai tuoi fedeli di esprimere nella vita il sacramento che hanno ricevuto nella fede» (Oraz. Colletta del Lunedì dell’Ottava di Pasqua).
E’ vero, il Battesimo che ci fa figli di Dio, l’Eucaristia che ci unisce a Cristo, devono diventare vita, tradursi cioè in atteggiamenti, comportamenti, gesti, scelte. La grazia contenuta nei Sacramenti pasquali è un potenziale di rinnovamento enorme per l’esistenza personale, per la vita delle famiglie, per le relazioni sociali. Ma tutto passa attraverso il cuore umano: se io mi lascio raggiungere dalla grazia di Cristo risorto, se le permetto di cambiarmi in quel mio aspetto che non è buono, che può far male a me e agli altri, io permetto alla vittoria di Cristo di affermarsi nella mia vita, di allargare la sua azione benefica. Questo è il potere della grazia! Senza la grazia non possiamo nulla. Senza la grazia non possiamo nulla! E con la grazia del Battesimo e della Comunione eucaristica posso diventare strumento della misericordia di Dio, di quella bella misericordia di Dio.
Esprimere nella vita il sacramento che abbiamo ricevuto: ecco, cari fratelli e sorelle, il nostro impegno quotidiano, ma direi anche la nostra gioia quotidiana! La gioia di sentirsi strumenti della grazia di Cristo, come tralci della vite che è Lui stesso, animati dalla linfa del suo Spirito!
Preghiamo insieme, nel nome del Signore morto e risorto, e per intercessione di Maria Santissima, perché il Mistero pasquale possa operare profondamente in noi e in questo nostro tempo, perché l’odio lasci il posto all’amore, la menzogna alla verità, la vendetta al perdono, la tristezza alla gioia.

Dopo il Regina Coeli
Saluto con grande affetto tutti voi, cari pellegrini provenienti da vari Continenti per partecipare a questo incontro di preghiera.
A ciascuno auguro di trascorrere serenamente questo Lunedì dell’Angelo, nel quale risuona con forza l’annuncio gioioso della Pasqua: Cristo è risorto! Buona Pasqua a tutti!
Buona Pasqua a tutti, e buon pranzo!


domenica 31 marzo 2013

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Sabato Santo, 30 marzo 2013


Cari fratelli e sorelle!
1. Nel Vangelo di questa Notte luminosa della Vigilia Pasquale incontriamo per prime le donne che si recano al sepolcro di Gesù con gli aromi per ungere il suo corpo (cfr Lc 24,1-3). Vanno per compiere un gesto di compassione, di affetto, di amore, un gesto tradizionale verso una persona cara defunta, come ne facciamo anche noi. Avevano seguito Gesù, l’avevano ascoltato, si erano sentite comprese nella loro dignità e lo avevano accompagnato fino alla fine, sul Calvario, e al momento della deposizione dalla croce. Possiamo immaginare i loro sentimenti mentre vanno alla tomba: una certa tristezza, il dolore perché Gesù le aveva lasciate, era morto, la sua vicenda era terminata. Ora si ritornava alla vita di prima. Però nelle donne continuava l’amore, ed è l’amore verso Gesù che le aveva spinte a recarsi al sepolcro. Ma a questo punto avviene qualcosa di totalmente inaspettato, di nuovo, che sconvolge il loro cuore e i loro programmi e sconvolgerà la loro vita: vedono la pietra rimossa dal sepolcro, si avvicinano, e non trovano il corpo del Signore. E’ un fatto che le lascia perplesse, dubbiose, piene di domande: “Che cosa succede?”, “Che senso ha tutto questo?” (cfr Lc 24,4). Non capita forse anche a noi così quando qualcosa di veramente nuovo accade nel succedersi quotidiano dei fatti? Ci fermiamo, non comprendiamo, non sappiamo come affrontarlo. La novità spesso ci fa paura, anche la novità che Dio ci porta, la novità che Dio ci chiede. Siamo come gli Apostoli del Vangelo: spesso preferiamo tenere le nostre sicurezze, fermarci ad una tomba, al pensiero verso un defunto, che alla fine vive solo nel ricordo della storia come i grandi personaggi del passato. Abbiamo paura delle sorprese di Dio. Cari fratelli e sorelle, nella nostra vita abbiamo paura delle sorprese di Dio! Egli ci sorprende sempre! Il Signore è così.
Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui.
2. Ma torniamo al Vangelo, alle donne e facciamo un passo avanti. Trovano la tomba vuota, il corpo di Gesù non c’è, qualcosa di nuovo è avvenuto, ma tutto questo ancora non dice nulla di chiaro: suscita interrogativi, lascia perplessi, senza offrire una risposta. Ed ecco due uomini in abito sfolgorante, che dicono: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc 24, 5-6). Quello che era un semplice gesto, un fatto, compiuto certo per amore - il recarsi al sepolcro – ora si trasforma in avvenimento, in un evento che cambia veramente la vita. Nulla rimane più come prima, non solo nella vita di quelle donne, ma anche nella nostra vita e nella nostra storia dell’umanità. Gesù non è un morto, è risorto, è il Vivente! Non è semplicemente tornato in vita, ma è la vita stessa, perché è il Figlio di Dio, che è il Vivente (cfr Nm 14,21-28; Dt 5,26; Gs 3,10). Gesù non è più nel passato, ma vive nel presente ed è proiettato verso il futuro, Gesù è l’«oggi» eterno di Dio. Così la novità di Dio si presenta davanti agli occhi delle donne, dei discepoli, di tutti noi: la vittoria sul peccato, sul male, sulla morte, su tutto ciò che opprime la vita e le dà un volto meno umano. E questo è un messaggio rivolto a me, a te, cara sorella, a te caro fratello. Quante volte abbiamo bisogno che l’Amore ci dica: perché cercate tra i morti colui che è vivo? I problemi, le preoccupazioni di tutti i giorni tendono a farci chiudere in noi stessi, nella tristezza, nell'amarezza … e lì sta la morte. Non cerchiamo lì Colui che è vivo!
Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa’ un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per vivere come Lui vuole.
3. C’è un ultimo semplice elemento che vorrei sottolineare nel Vangelo di questa luminosa Veglia Pasquale. Le donne si incontrano con la novità di Dio: Gesù è risorto, è il Vivente! Ma di fronte alla tomba vuota e ai due uomini in abito sfolgorante, la loro prima reazione è di timore: «tenevano il volto chinato a terra» - nota san Luca -, non avevano il coraggio neppure di guardare. Ma quando ascoltano l’annuncio della Risurrezione, l’accolgono con fede. E i due uomini in abito sfolgorante introducono un verbo fondamentale: ricordate. «Ricordatevi come vi parlò, quando era ancora in Galilea… Ed esse si ricordarono delle sue parole» (Lc 24,6.8). Questo è l’invito a fare memoria dell’incontro con Gesù, delle sue parole, dei suoi gesti, della sua vita; ed è proprio questo ricordare con amore l’esperienza con il Maestro che conduce le donne a superare ogni timore e a portare l’annuncio della Risurrezione agli Apostoli e a tutti gli altri (cfr Lc 24,9). Fare memoria di quello che Dio ha fatto e fa per me, per noi, fare memoria del cammino percorso; e questo spalanca il cuore alla speranza per il futuro. Impariamo a fare memoria di quello che Dio ha fatto nella nostra vita!
In questa Notte di luce, invocando l’intercessione della Vergine Maria, che custodiva ogni avvenimento nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), chiediamo che il Signore ci renda partecipi della sua Risurrezione: ci apra alla sua novità che trasforma, alle sorprese di Dio, tanto belle; ci renda uomini e donne capaci di fare memoria di ciò che Egli opera nella nostra storia personale e in quella del mondo; ci renda capaci di sentirlo come il Vivente, vivo ed operante in mezzo a noi; ci insegni, cari fratelli e sorelle, ogni giorno a non cercare tra i morti Colui che è vivo. Amen.


sabato 23 marzo 2013

Domenica delle Palme


Domenica 24 Marzo 2013: VI Domenica di Quaresima  
                          Domenica delle Palme


“Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori”. Il canto del servo che oggi ascoltiamo nella prima lettura mette in relazione la forza di “presentare il dorso ai flagellatori”, e cioè di affrontare la violenza ingiusta senza opporvisi, all'ascolto di Dio. è a Dio che bisogna imparare a non opporre resistenza, prima che ai flagellatori. Perché è prima di tutto la proposta che Dio ti fa – quella di vivere un amore radicale, senza cedere mai alla violenza – a trovare dentro di noi una resistenza fortissima. Non è possibile che questa sia la volontà di Dio, non è possibile che Dio voglia che non rispondiamo al male e alla palese menzogna di una situazione ingiusta e inautentica. Le vittime innocenti, chi le vendica, se anche Dio non fa niente? È questa la grande domanda posta dal racconto della passione di Gesù che ascoltiamo oggi, ma è anche la domanda che sale nel cuore quando viviamo personalmente una situazione difficile, in cui sembrano vincere i prepotenti e i bugiardi, i violenti e gli arroganti. Eppure la volontà di Dio è quella che risplende nell'atteggiamento di Gesù, che tanti anni dopo la sua morte paolo descrivere in quel canto che ascoltiamo nella seconda lettura: “umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte”. Per obbedienza Gesù è giunto alla morte. Di nuovo il rapporto tra obbedienza a Dio e morte. Ma perché?
E le domande aumentano man mano che leggiamo il grande racconto della passione. Sin dall’inizio le parole di Gesù ai discepoli sono strane, enigmatiche: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli disse: «Basta!». Che cosa vuol dire il Signore? Per lui è arrivato il momento della lotta. Si tratta di una lotta interiore, che avviene prima di tutto dentro di lui. Ma essa riguarderà anche i suoi discepoli, che dovranno fare i conti con un aspro combattimento interiore: davvero scegliere di ascoltare Dio, e di fare la sua volontà, porta sulla strada della croce, della non-violenza che accetta di rimanere disarmati e nudi mentre si fanno i conti con l’ingiustizia, la menzogna, la violenza? Occorre prepararsi, ed attrezzarsi, perché la lotta è dura. Le spade che gli sono presentate sono rifiutate, perchè proprio questo è in gioco: la sapienza divina che rifiuta la violenza anche di fronte alla violenza, e cerca un’altra strada di salvezza.E che Gesù si riferisse non alla spada di ferro, alle armi della fede e della preghiera si vede bene nel racconto dell’Orto degli Ulivi, prima dell’arresto: «Pregate, per non entrare in tentazione». È la preghiera l’arma che tiene lontani dalla tentazione. Di quale tentazione si tratta? Di quella di prendere le spade, appunto, cioè di rispondere alle contraddizioni e alla violenza delle situazioni della vita con altrettanta violenza, finendo solo per moltiplicare così il male. La preghiera è quella che ti mette nel cuore l’energia per contrapporti al male con il bene, e così seguire Gesù.«Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna» dirà Ponzio Pilato ai capi dei sacerdoti. Ecco: quando un uomo fa l’esperienza del male, e si mantiene innocente, senza motivi di condanna: questa è la volontà di Dio. la via di Gesù è la via dell’innocente che rimane tale anche perché decide di non rispondere al male che gli si infligge con il male che egli infligge agli altri.Alla fine si racconta delle donne che preparano aromi e oli profumati. Quella preparazione sarà inutile, perché esse non troveranno più il corpo di Gesù nel sepolcro. Risvegliandolo dalla morte, Dio metterà il suo sigillo sulla vicenda di questo innocente, che non ha nessun motivo per essere condannato, e che sceglie di percorrere fino in fondo la strada della mitezza e della non violenza, accettando persino di essere ucciso, pur di non diventare vendicativo, cattivo, ingiusto. Dio, facendolo risorgere, dirà a tutti: questo è davvero la vita umana come la voglio io, questo è l’Adamo uscito dalle mie mani all’inizio, l’innocente che lotta per rimanere innocente, anche di fronte all’esperienza del male. Ma arrivare a scegliere di vivere così, come Gesù, secondo la volontà di Dio, nell’amore, non è semplice, né spontaneo. È frutto di una lotta, che inizia dallo scegliere di obbedire alla Parola di Dio, di ascoltarla, di metterla in pratica anche nelle situazioni difficili e dolorose.


a cura di Gianni Caliandro www.omelie.org



sabato 16 marzo 2013

V Domenica di Quaresima

Domenica 17 Marzo 2013: V Domenica di Quaresima


In questa nostra riflessione raccogliamo un po' liberamente tre “schegge” tratte dai vari testi biblici della liturgia.


Iniziamo subito con la prima lettura che offre un brano del cosiddetto “Secondo Isaia” (43,16-21) (…) Egli canta il ritorno degli Ebrei dall'esilio di Babilonia come un “secondo esodo”, cioè come la rievocazione del grandioso passaggio del mare: ora è, invece, il deserto a essere valicato (…) La frase che scegliamo è questa: <<Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia>>. (…) La conversione è proprio in questo taglio netto col passato e nell'incamminarsi sulla nuova via. (...)


Dalla seconda lettura, lo scritto di Paolo ai Filippesi (3,8-14), estraiamo questa considerazione: <<Dimentico il passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivar al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù>>. L'immagine è la stessa del testo isaiano: passato e futuro sono posti in antitesi e l'appello è ad intraprendere una corsa per raggiungere il nuovo orizzonte che sta di fronte a noi. (...)
Per il profeta si trattava della terra dei padri da rioccupare abitare. Per Paolo è, invece, la patria definitiva che ha per capitale la Gerusalemme celeste. Il cristiano, infatti , non ha <<quaggiù una città stabile ma cerca quella futura>> (Eb 13,14). Il suo sguardo è proteso verso l'incontro perfetto col Cristo, verso la vita divina: <<la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio>>.


Giungiamo, così, al testo evangelico, un racconto celebre incastonato nel Vangelo di Giovanni (8,1-11) ma certamente di origine diversa (…)
E', infatti, la celebrazione della misericordia e del perdono nei confronti di una peccatrice. Noi mettiamo l'accento sulla finale: <<Và, e d'ora in poi non peccare più>>. Anche in questo abbiamo un contrasto tra passato e futuro. La donna ha alle spalle una vicenda di adulterio, il trauma della flagranza, il rischio appena evitato della morte per lapidazione. Gesù le offre una mano per riuscire dal baratro e protendersi verso il futuro della purezza, della vita nuova, dell'amore fedele. E per la donna si apre davanti un nuovo percorso sul quale s'avvia, accompagnata dalla salvezza che il Cristo le ha offerto.
La conversione, il tema tipico quaresimale, è per tutta la Bibbia un mutamento di rotta, uno stacco dal passato tenebroso, una lacerazione con una storia precedente di peccato. (…)
Certo, la paura del nuovo è sempre in agguato, come si dice nella Bottega dell'orefice, il dramma giovanile di K.Woytila, il futuro Giovanni Paolo II: <<Non c'è speranza senza paura e paura senza speranza>>. Ma sulla strada della conversione noi non saremo mai soli: <<Non temere perchè io sono con te per proteggerti!>> (Ger 1, 8)

Riflessioni tratte dal libro "SECONDO LE SCRITTURE" di Gianfranco Ravasi - Piemme

giovedì 14 marzo 2013

SANTA MESSA CON I CARDINALI


SANTA MESSA CON I CARDINALI
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cappella Sistina
Giovedì, 14 marzo 2013

In queste tre Letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento nell’edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare.
Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile. Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa.
Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare.
Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.
Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.
Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.
Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.
Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso. Così sia. 

www.vatican.va

mercoledì 13 marzo 2013

HABEMUS PAPAM

HABEMUS PAPAM

 

"Fratelli e sorelle buonasera, voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui". Sono le prime parole pronunciate dal nuovo papa Francesco affacciatosi alla finestra della Santa Sede.


Citta' del Vaticano, (Zenit.org)

Il nuovo Sommo Pontefice, Francesco I, si è affacciato questa sera alle ore 20.22 alla Loggia esterna della Benedizione della Basilica Vaticana per salutare il popolo e impartire la sua prima Benedizione Apostolica "Urbi et Orbi".

Prima della Benedizione il nuovo Vescovo di Roma ha rivolto ai fedeli le seguenti parole.
***
Fratelli e sorelle, buonasera!
Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.
[Il Papa recita insieme ai fedeli presenti in Piazza San Pietro il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre]
E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!
E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.
[…]
Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
[Benedizione]
Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!

[© Copyright 2013 - Libreria Editrice Vaticana]




venerdì 8 marzo 2013

IV Domenica di Quaresima

Domenica 10 Marzo 2013: IV Domenica di Quaresima


Nella prima lettura il prima è costituito dalla schiavitù in Egitto, segnato dall’umiliazione, dalla sofferenza, dalla mancanza di libertà. A queste ha fatto seguito il duro cammino di purificazione nel deserto, che ha preparato i cuori a un popolo nuovo.
Ad Israele, che porta il fardello di questo passato, Dio dice: “Oggi ho allontanato da voi l’infamia d’Egitto”. Si tratta di una denotazione temporale puntuale, è l’adempimento di una promessa.
L’esperienza dell’inizio di una vita nuova è accompagnata dalla celebrazione della Pasqua, per la prima volta in condizione di uomini liberi. La novità viene celebrata con un rito, alla presenza del Signore.
Il dopo di Israele, la nuova condizione di libertà, inizia il giorno dopo: “Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della regione”.



Lo stesso dinamismo compare nella seconda lettura.
San Paolo esclama: “Le cose vecchie sono passate!”. È come se dicesse: “Il prima è passato!”. Non esiste più, non dobbiamo più guardare ad esso. Paolo può esclamare ciò proprio perché, personalmente, ha fatto questa esperienza: da persecutore della Chiesa è stato perdonato e rigenerato a vita nuova.
L’oggi è segnato da un invito ad accogliere gratuitamente l’amore di Dio. Come il Padre è libero nel donare, il Figlio è libero nell’accogliere, lo Spirito è libero nella comunione, così i cristiani devono essere liberi nell’accettare la novità di Dio: “Lasciatevi riconciliare con Dio!”.
In queste parole, che riguardano l’oggi del cristiano, c’è quasi una passività.
Cosa devo fare?
Devi lasciarti amare. Devi permettere a Dio che ti riconcili con Lui.
Il dopo, il futuro di cui parla la seconda lettura è l’invio nel mondo di ambasciatori di vita nuova, persone che parlano “come se Dio stesso parlasse per mezzo di noi”, invitando i popoli ad accogliere l’amore rigenerante di Dio.




Al centro della liturgia è posto oggi quel capolavoro del Vangelo di Luca che è la parabola del figlio prodigo o, meglio del padre prodigo d'amore, stupenda rappresentazione dell'itinerario di un'esistenza prima bruciata nel peccato poi ricostruita nella conversione e infine approdata alla pace e alla gioia.

La parabola nel suo centro tematico non è la storia di una crisi ma la storia di un “ritorno”, cioè la soluzione di un dramma interiore. Il noto verbo biblico della conversione – l'ebraico shùb, <<ritornare>> , che nei vangeli diventa il greco metanoein, <<cambiare mentalità>> - indica appunto un'inversione di rotta che fa il pastore beduino che nel deserto s'accorge di battere un pista che porta lontano dall'acqua, dall'oasi. O come la nave che segue una rotta fuori della mappa che la guida.

Appena si profila all'orizzonte la figura del figlio, il padre gli corre incontro per abbracciarlo. Come dicono le sue prime parole al figlio, è una morte che si trasforma in vita, è uno smarrimento che diventa ritrovamento gioioso. Nella fatica che ogni conversione c'è, quindi, la certezza di non essere mai soli, di non correre il rischio di trovare alla fine una porta sbarrata o un padre che è solo giudice implacabile e senza misericordia. Anzi, quel padre, come ha detto Gesù in un altra parabola, è pronto a mettersi a servizio del figlio facendolo sedere a mensa (Lc 12,37).

giungiamo così, all'ultimo quadro della narrazione, al cui centro appara la figura del fratello maggiore, tipica rappresentazione del benpensante che, soddisfatto della sua conclamata onestà, diventa un freddo ed impietoso giudice del fratello. 

Riflessioni tratte dal libro "SECONDO LE SCRITTURE" diGianfranco Ravasi - Piemme

sabato 2 marzo 2013

III Domenica di Quaresima


Domenica 03 Marzo 2013: III Domenica di Quaresima


Nel lezionario odierno, potremmo tentare di trovare un filo unificatore sulla base di un grande segno umano e religioso, quello del dialogo. All'interno di un dialogo corre una specie di nervatura che comprende alcune componenti fondamentali. C'è una persona che apre il discorso, interpellando un'altra persona; l'interpellato può reagire negativamente ed allora il dialogo si spezza oppure accettare la proposta ed allora il dialogo fiorisce e puàò trasformarsi in scoperta, in approfondimento, in amicizia, in comunione, in amore.


I lettura: (Es 3,1-8.13-15)

Il celbre brano del c.3 dell'Esodo è per eccellenza la rappresentazione dell'inizio assoluto del dialogo tra Dio e l'uomo: Dio, infatti, si presenta all'improvviso all'orizzonte della vita dell'esule Mosè egli rivela il suo nome segreto. E' la prima e fondamentale battuta del dialogo della rivelazione ed è anche uno dei doni più alti di Dio all'uomo. (...) La conoscenza del nome di una persona comporta una specie di potere sull'essere in questione di cui si viene a conoscere l'essenza e l'energia.


II lettura: (1 Cor 10,1-6.10-12)

L'Apostolo introduce la prima storia nel contesto della sua evocazione dell'Esodo di Israele dall'Egitto. Siamo nel deserto; in Israele pellegrino verso la terra della promessa divina e della libertà si incunea il tarlo della frustrazione, della disperazione, della ribellione. E' ciò che la Bibbia chiama con un verbo curioso, <<mormorare>>: è un modo per indicare l'incredulità, il sospetto nei confronti di Dio e della sua capacità di salvare.


Vangelo (Lc 13,1-9)

La parabola di Gesù ricorre, invece, al simbolo dei frutti assenti in una albero inutilmete frondoso. E' la storia di una aridità interiore che non è scossa neppure dalla voce di Dio. (...) Al centro della cronaca ci sono due episodi di "nera": una repressione brutale dalla polizia romana all'interno del Tempio e la traggedia delle 18 vittime sotto il crollo della torre di Siloe. Gesù non vuole allineasi con quelli che amano vedere nelle disgrazie il dito di Dio giudice. (...) La loro vicenda ha, vinvece, un significato proprio per noi rimsti in vita e spettatori: la storia è breve e può essere spesso spezzata all'improvviso; non si possono lasciar cadere nel vuoto gli appelli del dialogo che Dio intesse con noi.
Alla cronaca si accosta la parbola nella quale è decisivo il dialogo tra il padrone della vigna e il contadino. Tra il Padre (il Padrone) e il Figlio (il contadino) si instaura un rapposto di intercessione per l'umanità arida e indifferente (il fico). Il Cristo tenta, quindi di annodare i fili di un dialogo che l'uomo ignora o lascia anche spegnere.
Ma Cristo non vuole che il lavoro dei "tre anni" del suo ministero sia inutile e supplica il Padre di attendere ancora un anno perchè finalmente questo albero, che è l'umanità, riesca a sbocciare, a fiorire, a fruttificare in una risposta d'amore e di giustizia


Riflessioni tratte dal libro "SECONDO LE SCRITTURE" diGianfranco Ravasi - Piemme

mercoledì 27 febbraio 2013

UDIENZA GENERALE


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 27 febbraio 2013


Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato!
Distinte Autorità!
Cari fratelli e sorelle!

Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa mia ultima Udienza generale.

Grazie di cuore! Sono veramente commosso! E vedo la Chiesa viva! E penso che dobbiamo anche dire un grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona adesso ancora nell’inverno.

Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo. In questo momento il mio animo si allarga ed abbraccia tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola realmente nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo.

Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10).

In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia.

Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto la ferma certezza che mi ha sempre accompagnato: questa certezza della vita della Chiesa dalla Parola di Dio. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, perché mi chiedi questo e che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai, anche con tutte le mie debolezze. E otto anni dopo posso dire che il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore.

Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…». Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo!

Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è la sua prima responsabilità. Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella preghiera, con il cuore di padre.

Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio.

A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo, che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi!

In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi.

Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della vostra comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui.

Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio.

Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito.

Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia.

Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!


Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. Grazie per il vostro affetto e amore. Grazie! Cari amici, grazie per questi otto anni tra di voi e vi ringrazio per la vostra partecipazione così numerosa a questo incontro, come pure per il vostro affetto e per la gioia della vostra fede. Sono sentimenti che ricambio cordialmente, assicurando la mia preghiera per voi qui presenti, per le vostre famiglie, per le persone a voi care, per la cara Italia e Roma.
Il mio pensiero si rivolge, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il Signore riempia del suo amore il cuore di ciascuno di voi, cari giovani, perché siate pronti a seguirlo con entusiasmo; sostenga voi, cari malati, perché accettiate con serenità il peso della sofferenza; e guidi voi, cari sposi novelli, perché facciate crescere le vostre famiglie nella santità.

fonti: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2013/documents/hf_ben-xvi_aud_20130227_it.html

sabato 23 febbraio 2013

II Domenica di Quaresima anno C



Domenica 24 Febbraio 2013: II Domenica di Quaresima anno C

Le tre trasfigurazioni secondo Ravasi

"Le tre trasfigurazioni, quella di Dio, del Figlio e dell'uomo, si uniscono nello stesso significato: Dio e uomo si incontrano, Dio si rivela e si curva sull'uomo per attirarlo a sé in un abbraccio d'Amore."
Prima trasfigurazione:

Dio affida il suo rivelarsi al segno del fuoco che evoca la luce, una realtà che è al di fuori di noi ma che ci attraversa e ci specifica. L'uomo, invece, prepara questo incontro attraverso un rito arcaico, quello degli animali divisi.(...) Ma in quella notte, in mezzo agli animali squartati da Abramo passa soltanto "il forno fumante, la fiaccola ardente". (...) E' questa la rivelazione di Dio stesso che si rivela all'uomo come suo alleato, come salvatore potente, come sorgente della promessa, cioè della speranza. E' lui che si impegna per primo e senza attendere risposta dall'uomo. E' lui che si mette sulla strada dell'uomo svelandogli il suo amore. E l'uomo deve solo offrire la sua fede, cioè l'accoglienza libera e gioiosa del dono che Dio gli presenta: "Abramo credette al Signore..."

Seconda trasfigurazione:

Ha per protagonista Gesù di Nazareth, giunto a metà del suo ministero pubblico. (...) Appare, quindi, il mistero che Gesù di Nazareth nasconde sotto i lineamenti di un uomo che cammina per le strade della Palestina. E' come se si sollevasse un velo e dietro i lembi dell'umanità di Gesù sfolgorasse la divinità. Per ora è solo un bagliore; Gesù scenderà il monte, ritornerà nella pianura del quotidiano ove lo stanno attendendo uomini sofferenti e peccatori ma anche avversari implacabili. Tuttavia il suo mistero è ormai affiorato per una prima volta agli occhi dei discepoli. (...) La trasfigurazione del monte è la rivelazione della presenza perfetta di Dio in mezzo agli uomini, anzi, nella carne dell'uomo Gesù di Nazareth.

Terza trasfigurazione:

Quella del cristiano. Essa è disegnata da Paolo nella lettera ai Cristiani di Filippi, la prima comunità ecclesiale europea. Scrive l'Apostolo "Gesù Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso". (...) La miseria della nostra mortalità, la fragilità di questo corpo, simile all'<<erba che germoglia al mattino, fiorisce, germoglia e alla sera è falciata>>, la debolezza creaturale sono destinate a essere <<trasfigurate>> perchè Cristo, entrando nella nostra carne, nel nostro tempo e nel nostro spazio, vi ha deposto un seme di eterno e di infinito, destinato a crescere e sbocciare.

Riflessione tratta dal libro" SECONDO LE SCRITTURE" di Gianfranco Ravasi - Piemme