La preghiera illumina il volto
1.
Pregare non è dire le preghiere
Gesù con
la sua trasfigurazione ci insegna che altro
è pregare e altro è dire le
preghiere. Egli prega immergendosi nel mistero divino portandovi dentro le
vicende della sua vita.
È facile
pensare che abbia trasformato in preghiera sia lo smarrimento dei discepoli ai
quali aveva confidato la sua dipartita in Gerusalemme, sia la lettura che egli
ne faceva alla luce della tradizione religiosa fondata sugli insegnamenti di
Mosè e di Elia.
2.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno.
Viene da pensare che la
Domenica se non entriamo nel clima di preghiera, dormire forse no ( ci siamo appena alzati ),
ma sicuramente siamo assaliti da noia.
Ugualmente accade a chi non trova spazio in
partita, oppure in piazza non riesce ad entrare in dialogo.
È accaduto a Pietro, Giovanni e Giacomo sia in
questa circostanza sul monte, sia nell’orto degli ulivi.
Oggi il vangelo ci dice
che << Pietro e i suoi compagni
erano oppressi dal sonno>>; mentre nell’orto degli ulivi << dormivano per la tristezza>>.
Nell’un caso e
nell’altro i discepoli hanno assicurato la sola presenza fisica , ma il loro
cuore era altrove.
Se oggi in chiesa
proveremo a immergerci nei contenuti della preghiera, il tempo ci sembrerà
breve e la luce degli occhi renderà superfluo ogni cosmetico.
3.
Abramo, padre di tutti i credenti.
a)
Così lo definisce la Sacra Scrittura. Nella lettura di oggi ci viene presentato
immerso nella
natura della quale si
sente parte, ma nel contempo ne è attento osservatore. Ciò gli permette di
cogliere la propria unicità rispetto a tutto
quanto lo circonda. Non si sente
avvolto dal mondo e dai suoi elementi: Abramo li guarda, li osserva, li
interroga a cominciare dalle stelle fino alla sabbia che calpesta. Tutto lo
aiuta a darsi risposte e a camminare con fede sui tratturi della vita.
Non è un idealista né
un romantico “ante litteram”: i suoi greggi
ed armenti gli impediscono di sognare!
Ad Abramo urgono risposte
concrete che trova con l’aiuto della sua fede incipiente.
b)
In un primo momento cerca scorciatoie appellandosi al “così fan tutti”
suggerito dalla cultura del tempo. Ma il figlio avuto da Agar mette in crisi il
suo “matrimonio”.
Per salvarlo fu costretto a prendere una
drastica decisione nei confronti della schiava e di suo figlio Ismaele.
Costoro
però non furono abbandonati dall’Angelo del Signore!
Il gesto
dell’allontanamento doveva contribuire a purificare la cultura del tempo con la
fede e, sempre mediante la fede, a introdurre Abramo nei “tempi” di Dio.
Infatti se Abramo e
Sara avessero avuto un discendente in “età fertile”, difficilmente Isacco sarebbe stato accolto come “figlio della promessa”.
c)
La lettura di fede della storia personale e di quella
comunitaria avviane sempre “a posteriori”:
si configura come una rilettura del passato alla luce di una fede non più
condizionata dall’affanno e dall’incertezza del futuro. È una lettura pacata
che permette di vedere come Dio ha tracciato la via ai lenti passi dell’uomo
che arranca per sentieri impervi.
Siamo alla conclusione
del primo trimestre dell’Anno della Misericordia.
Avvertiamo qualche germe
primaverile oppure il seme è ben pressato sotterra?
GLOSSARIO DEL GIUBILEO
4 BIS:
MISERICORDIA ( Segue )
È stato
detto che la misericordia è il più grande attributo di Dio. Proprio per questo
il Signore si è com-mosso: ha
lasciato la sua condizione divina per indossare i nostri panni.
Il Cristianesimo è la religione della
Incarnazione.
Del resto
anche noi diciamo: “mettiti nei miei
panni” quando desideriamo che un amico ci comprenda in pienezza.
Il cuore
di Dio si commuove dinanzi all’uomo impigliato nella rete delle proprie
fragilità. Si muove a compassione. Per questo si è mosso da cielo: per patire con noi. Ha preso su di sé le
nostre debolezze. Non si sente estraneo dinanzi alla nostra sofferenza, perciò
si è mosso; è sceso da cavallo e ha condiviso la cavalcatura col malcapitato.
Si sente
corresponsabile: Gesù risponde di noi presso
il Padre, fino a donare la sua vita. Muore al posto del peccatore.
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