Pereto - Rocca di Botte

mercoledì 4 maggio 2016

TERZA DOMENICA DI PASQUA

Si riparte dal mondo del lavoro.

A. Siamo tra i pescatori sul mare di Tiberiade

1. Sul lago di Tiberiade, mentre riassettavano le reti, Gesù li aveva chiamati per un corso triennale di introduzione alla fede. Non impartiva  lezioni in cattedra: qualche volta sulla barca, altre volte in casa o lungo la strada; nelle belle giornate in aperta campagna o seduto su un sasso in montagna. ma aveva condiviso tempo e circostanze.
In una parola: Gesù non fu un teorico dottrinale cattedratico, ma insegnava partendo dalle vicende della vita aiutando i discepoli a cogliere in esse la presenza di Dio.

Ai discepoli del Battista aveva detto:<< Venite e vedete>> (Giov. 1,39).

Dal racconto che gli evangelisti fanno di questa scuola si può dire che il triennio non è bastato ai discepoli.
Essi hanno bisogno di un corso supplementare che il Risorto si rende disponibile a farlo.
In queste prime tre domeniche di Pasqua la liturgia ci ha raccontato  questo “corso di sostegno”.
Oggi termina il racconto delle apparizioni.
Domenica prossima ci presenterà Gesù buon pastore.

2. Erano pescatori e se ne tornano a pescare.

E qui, mentre esercitano la loro professione, essi fanno esperienza della presenza del Risorto.
Nella vita feriale, nello mondo del lavoro, il Risorto trova il modo di far sentire la sua presenza durante la condivisione del cibo.
Viene in mente l’esclamazione di Giobbe: mai ho mangiato da solo il mio tozzo di pane!
Il Risorto invita questi pescatori a mettere insieme a quello che ha preparato sul fuoco di brace i frutti del loro lavoro, pescato oro ora.
Alla luce di ciò forse dobbiamo ripensare il concetto di laicità e di autonomia delle cose terrene dal sacro.
Il credente non indossa i panni della fede in alcuni ambienti e in altri li dismette!

3. Lungo le rive del lago li aveva chiamati e qui, a conclusione del corso di formazione itinerante, il Risorto dà appuntamento per promuoverli.  Non nel tempio, ma in ambiente di lavoro.
Questa la motivazione dell’abilitazione:E nessuno dei discepoli osava domandargli <<Chi sei?>>, perché sapevano bene che era il Signore.
Se riusciamo a condividere il pane con l’affamato, a dare un alloggio a chi non ha un tetto …senza domandargli <<Chi sei, donde vieni?>> perché sappiamo bene che è il Signore, allora saremo promossi anche noi.        Prossimità di stile cristiano!

B. << Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini >>

1. Questa affermazione va intesa come rivendicazione del primato della coscienza e del suo libero esercizio.
La storia ha sempre registrato persone e movimenti che si sono arrogato il diritto di parlare a nome di Dio.
Questo accade quando la persona non vuole rispondere del proprio operato ( dice di essere ispirata dall’Alto ) ed in più, per farsi strada, fa leva sul sentimento religioso altrui.
Colui che rivendica il primato della libertà di coscienza si assume la responsabilità delle proprie azioni, lasciando ai posteri e alla storia il giudizio se ha agito dietro ispirazione divina.

2. Presa alla lettera, questa espressione ha generato fatti, e continua ancora a produrne, che sanno di sopraffazione e di conquista.
Basti ricordare alcuni dei famosi motti che la storia ci ha tramandato:

<<Deus nobiscum>> era il motto degli eserciti del primo millennio
<< Dio lo vuole!>>, fu il grido di battaglia usato da Pietro l’eremita;

<< Kamikaze >> = vento divino;
<< Gott mit uns >> portava scritto sulla fibbia del cinturone l’esercito tedesco;

<< In God we trust>>  è il motto degli Stati Uniti d’America che sostituì  “E pluribus unum”. Fin qui nulla da osservare! Scritto, però, sulle banconote è alquanto deviante!

Sono tutti motti che fanno riferimento a Dio per allargare il proprio dominio o con le armi o col denaro.

Dio, incarnandosi, ha messo al centro l’uomo. Assumiamoci le responsabilità del nostro agire personale e sociale dando valore ai contenuti della nostra fede praticandoli in prima persona.
Il cristiano non impone, ma propone soprattutto il suo stile di vita.

C. Dopo pranzo il Risorto dà la pagella a Pietro

L’esame verte sull’amore divino incarnato da Gesù ( il verbo che lo esprime è “agapào”).
Viene chiesto a Pietro non di argomentare su questo tipo di amore, ma se sa viverlo pure lui così come ha fatto il suo Maestro: se riesce ad essere un unicum con lui mediante questo tipo di amore.
Pietro approfitta che Gesù ha voltato lo sguardo verso il mare e d’un fiato risponde: ma certo, tu lo sai che ti sono amico.( filo se!).
E il Risorto: ma io non ti ho chiesto questo. Ti ho detto: agapas me?
Pietro comincia a sentirsi stretto, ma col suo intuito coglie un secondo frammento di “distrazione” di Gesù per dargli, elaborata, la stessa risposta:filo se
Il Risorto si volta, ma Pietro non regge il suo sguardo, abbassa gli occhi e si rattrista.
Gesù gli si avvicina e gli sussurra: fileis me? 
E Pietro: filo se!
Che dire?
Il Risorto torna nuovamente a “incarnarsi” nella situazione di Pietro e lo promuove. Ma nel contempo gli dice: seguimi.

In questo racconto c’è la storia di ogni cristiano. Gesù con la sua resurrezione non si è allontanato da noi, ma continua a camminare a nostro fianco per accompagnarci sulla via tracciata da lui.


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